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martedì, Dicembre 3, 2024

    Un festival per conoscersi meglio

    Ricordi di Artitude 2024

    Di festival musicali ho parlato spesso in questa rubrica. L’ultima volta è accaduto il mese scorso, quando vi ho riferito del Festival della Valle d’Itria, e la prossima potrebbe essere già il mese prossimo. Ma bando agli spoiler. Mi perdonerete se lo farò anche in questo numero, e mi perdonerete ancor più se non vi riferirò di qualche rassegna operistica seguita nelle vesti di critico musicale, ma di un’esperienza tutta personale, solo parzialmente legata alla musica, che assomiglierà assai più a una pagina di diario che a una recensione professionale.
    Per il secondo anno consecutivo sono stato coinvolto nell’organizzazione del festival Artitude, in Valle d’Aosta. Non è la prima volta che organizzo eventi legati all’arte. Dal 2010 al 2020 ero stato, insieme alla collega Antonella Lo Presti, direttore artistico della rassegna concertistica delle “Aurore Musicali” presso l’Educatorio della Provvidenza di Torino. Una stagione che prevedeva una lezione-concerto a settimana lungo tutto il corso dell’anno, ed era occasione per presentare nuovi talenti dell’interpretazione musicale al pubblico degli appassionati. Un pubblico che, purtroppo, si è andato assottigliando nel corso degli anni, tanto che, dopo la pandemia, la stagione non ha ripreso vita. L’organizzazione era assai impegnativa, anche in ragione della quantità di appuntamenti previsti, e forse non mi rendevo abbastanza conto dei privilegi di cui godevo: un ente che si faceva carico della gestione economica e amministrativa della rassegna, che teneva i rapporti con la stampa, che curava tutti i dettagli relativi alla location e all’accoglienza dei musicisti e del pubblico, e che elargiva un (modesto) compenso agli artisti e agli organizzatori. A me spettavano gli stretti compiti di direzione artistica e di presentazione didattica dei programmi.
    Questa volta è tutto diverso: Artitude, nato tre anni fa dalla mente vulcanica della pittrice Giorgia Madonno, è una rassegna che si regge interamente sul volontariato degli organizzatori e degli artisti partecipanti. Non è certamente l’unica, e questo dovrebbe farci riflettere: spesso, quando entriamo in una piccola mostra d’arte figurativa, o assistiamo a un concerto da camera in una chiesa, abbiamo a che fare con un mondo di volontari che, per passione e coprendo personalmente le spese, ci offrono l’opportunità di essere partecipi della bellezza dell’arte. Ricordiamocelo, se ci viene richiesta una libera offerta. Reggersi interamente sul volontariato significa che gli organizzatori devono occuparsi di ogni dettaglio, dal reperimento dei locali all’allestimento delle mostre, dalla raccolta dei dati per i borderò Siae dei concerti al buffet per i vernissage, dall’accoglienza degli ospiti alla comunicazione mediatica delle iniziative, sempre più importante in un mondo di persone super-impegnate. E tutto questo significa: telefonate e mail a profusione, riunioni, viaggi, comunicati, una correzione di bozze infinita, e molto altro. Artitude ‒ ve ne avevo già parlato, e ne ha scritto sul nostro giornale anche il collega Tiziano Rossetto, che è stato impegnato come curatore della mostra “Paesaggi interiori” di Giorgia Madonno ‒ ha come proposito quello di far dialogare le diverse arti intorno a un tema, che quest’anno è stato “Silenzio, vuoto e solitudine come spazi di creatività e di ricerca interiore”. E questa è la parte più gratificante dell’organizzazione: interrogarsi su come il tema possa interessare gli artisti ed essere reso interessante ai visitatori, studiando un programma di eventi coerente e fruibile per il pubblico. Inoltre, Artitude è un festival itinerante, che ogni anno propone diverse tappe in differenti località della Valle: questa edizione ha visto l’inaugurazione a Saint-Nicolas, a metà agosto, con la mostra collettiva “Il silenzio dei paesaggi montani”, che ospitava le opere figurative di quattro pittori (Pasqualino Fracasso, Enrichetta Jorrioz, Giorgia Madonno, Joanna Miller) e due fotografi (Enzo Massa Micon, Giovanni Provera); è proseguita a inizio settembre ad Aosta, con i “Paesaggi interiori” di Giorgia Madonno (in dialogo con sei artisti locali), che ha esposto i suoi acquerelli astratti, nei quali maggiormente si rispecchia il suo percorso di ricerca interiore; e si è conclusa a fine settembre a Saint-Pierre, con un ospite internazionale di prestigio: Chankerk Teh, artista di Singapore che ha portato alla mostra “The realm of Horizon” acquerelli di grandi dimensioni nei quali ha rivissuto una visita al Grand Canyon attraverso la rielaborazione delle forme e dei colori. Nella settimana successiva all’ultima tappa, Chankerk e Giorgia hanno guidato un gruppo di studenti d’arte di Singapore in un viaggio artistico per la Valle d’Aosta, nel quale i partecipanti si sono dati all’attività di sketching all’aperto, alla scoperta delle montagne e degli artisti locali.
    E, in tutto questo, la musica come è stata presente? È stata protagonista di molti degli appuntamenti (laboratori, conferenze, performance) che hanno arricchito le tre tappe del festival: a Saint-Nicolas ci sono state le canzoni di Alice Viérin e Leandro Bornaz (voce e chitarra), il concerto di liuto rinascimentale e barocco del liutista tedesco Christian Zimmermann e una conferenza-laboratorio in cui l’autore di queste righe, dopo aver illustrato alcuni esempi di presenza dei temi del festival nel teatro d’opera e nella lirica da camera, ha invitato i partecipanti ad ascoltare un pezzo musicale sconosciuto e a trovarvi immagini, emozioni, storie. Ad Aosta ha avuto spazio la musica elettronica: è stato infatti un DJ set, insieme alle poesie recitate da Roberta Fonsato, ad accompagnare Giorgia Madonno nella sua performance di pittura dal vivo, che ogni anno cattura i partecipanti in un’esperienza affascinante. Inoltre, Bobo Pernettaz e Franz Rossi hanno offerto un’ora di “riflessioni ai piedi delle montagne” con letture e musica. Infine, a Saint-Pierre si sono esibiti Gaetano Lo Presti e i suoi amici Silenziat(t)ori in una serata di parole e musica intitolata “Un bel parlar non fu mai zitto, ovvero Il silenzio ha senso?”.
    Un tale impegno organizzativo, qualcuno si starà chiedendo, che ritorno porta a chi si spende per queste iniziative? Se si ragionasse in termini puramente economici, non vi sarebbe ragione di impegnarsi tanto. Ciò non significa che ci si debba rassegnare a lavorare per la gloria, perché ogni lavoro che reca un beneficio alla comunità merita di essere ricompensato, per cui è auspicabile un maggior coinvolgimento di sponsor pubblici e privati che rendano sostenibili queste iniziative culturali. Ma il vero ritorno è innanzi tutto in termini spirituali, intendendo questo vocabolo nella sua accezione più ampia: la soddisfazione che si ha nel veder realizzato un progetto in cui si crede e in cui si è messa una parte importante di sé, e nel vedere il successo cui si va incontro presso persone vicine e lontane. Non si può negare che anche aver avuto tre servizi televisivi sulla Rai (due al TGR e uno su Buongiorno Regione) sia motivo di un certo orgoglio. Poi, come in ogni cosa, accanto all’entusiasmo non possono mancare piccole delusioni o qualche momento di amarezza. Ma non è il caso di parlarne in questa sede. L’importante è che l’arte, in tutte le sue forme, sia  conosciuta e amata, e che in essa le persone trovino uno strumento per esprimersi e conoscersi meglio.

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