È veramente curioso rendersi conto che sono dei figli più saggi di noi a farci riflettere sull’importanza di alcune scelte. Una mamma come me dopo i tempi di risparmio cronico, in cui si indossavano indumenti usati da fratelli o amici, era pian piano passata al periodo anni settanta del consumismo regolare e auspicato da tutto il sistema economico, per cui c’era il cambio stagionale degli armadi, con selezione di capi passati di moda e l’acquisto di nuovi. C’era poi stata un’ulteriore impennata di consumi quando erano comparsi mega store a proporre imitazioni a prezzi abbordabilissimi e outlet di super marche a prezzi ridotti. Tutto ha poi subito uno stop deciso con il Covid che ha costretto a ridurre il guardaroba a indumenti comodi per stare…in casa, ma …questa mamma, cioè io, ho avuto bisogno di ospitare per qualche giorno il figlio scienziato per capire che tutto è davvero cambiato e che tutto deve cambiare se vogliamo contribuire in minima parte a un rapporto eticamente corretto con la natura e se vogliamo che il genere umano sopravviva! Il giubbotto di Davide aveva la cerniera rotta e l’ho trascinato riluttante tra negozi superspecializzati e mercatini, per acquistarne uno nuovo, finché è riuscito a farmi capire che voleva prima controllare di non avere in Canada qualche giubbotto simile. Poi, con pazienza e precisione scientifica mi ha portata a riflettere finalmente sul fatto che prima di fare nuovi acquisti bisogna portare alla fine i capi. E oggi non è una questione di risparmio, ma una scelta etica e consapevole.
Sappiamo benissimo che certi capi che abbiamo nell’armadio sono ancora perfetti dopo anni e abbiamo constatato che la moda ogni venti- trent’anni ripropone le stesse cose: probabilmente erano capi di alta qualità che sono riusciti a sopravvivere bene al passare degli anni: non si sono aperte le cuciture, non si sono rotte le cerniere, sono stati lavati e ripuliti senza danni ai tessuti. Ecco: una delle prime scelte da fare dopo aver portato a termine un capo o averlo passato a chi potrà usarlo ancora, sarà rivolgersi a marchi che propongano prodotti di qualità che non utilizzano fibre derivate dal petrolio e quindi hanno un minore impatto ambientale, diminuendo l’inquinamento e lo spreco di risorse. Poi c’è l’attenzione alla filiera che deve prediligere, come per il cibo, i capi prodotti nei nostri territori e l’attenzione al benessere dei lavoratori.
Qui una vocina insidiosa comincia a ricordarmi che i capi che seguono queste indicazioni, costano un occhio della testa e i nostri stipendi e le nostre pensioni non sono cambiati, anzi, pian piano siamo diventati davvero più poveri.
E allora a maggior ragione dovremo fare più attenzione, leggere attentamente le etichette, puntare alle fibre naturali, evitare di vestirsi…di petrolio. Vi ricordate che l’avevo scritto nell’articolo “Plasticene” del dicembre 2022: ”Le fibre del pile rilasciano ad ogni lavaggio centinaia di migliaia di microfibre di plastica”. Meditiamoci su.
L’equilibrio tra le esigenze del sistema economico e la necessità di salvare l’ambiente e noi stessi non è facile da raggiungere, ma è ormai una via da percorrere senza guardare indietro e ognuno di noi può dare il suo piccolo grande contributo.
Devo imparare anch’io. Internet suggerisce:”Cerca certificazioni come Fair Trade, GOTS (Global Organic Textile Standard) o B Corp, che indicano un impegno per la sostenibilità e pratiche etiche. Inoltre, fai ricerche sulla trasparenza del marchio e sulle iniziative eco-friendly.”
L’inglese come sempre mi destabilizza. Cerco di parlare con un esperto torinese di cui ho fiducia: conosco l’impegno di Dario Casalini, ceo di Oscalito, figlio di una cara compagna di scuola, che ha scritto il libro “Vestire buono, pulito e giusto”.
Dario è promotore di Slow fiber che riunisce aziende tessili che producono nel rispetto dell’ambiente e ha avuto uno spazio dedicato nell’ambito di Terra Madre.
“Oggi – mi spiega – alla base dell’azienda c’è la precisa volontà di creare i presupposti per una crescita sostenibile rispetto all’ecosistema, integrata e rispettosa dell’ambiente sociale e territoriale. La tecnologia RFID applicata ad ogni etichetta garantisce la completa tracciabilità di tutti i capi(RFID proviene dall’inglese Radio Identification. Questa tecnologia si basa sulla comunicazione wireless che utilizza onde elettromagnetiche. Ciò consente di identificare persone o oggetti.)
Non vi nascondo che faccio ancora fatica, ma ho capito che anche in questo settore se non cambiamo davvero modo di vivere e di “vedere”, a breve finiranno risorse e vita. Detto questo, ci sono gli inquinatori folli, quelli che con le guerre ci procurano un inquinamento globale incalcolabile.
È giusto? No e ancora no, ma agiamo lo stesso, secondo una visione di speranza.
Naz