Il famoso storico svizzero Jacob Burckhardt dichiarò che lo stato per l’azione politica dei principi rinascimentali veniva inteso come un’opera d’arte, ovvero che il loro operato seguiva lo stesso processo di costruzione sviluppato dall’artista nella produzione di un’opera. Nella realizzazione dello stato rinascimentale prevaleva, perciò, l’elemento individuale e il suo realismo, sui precetti morali dello speculum principis medievale. Lorenzo de’ Medici, detto il Magnifico, signore di Firenze, e Ludovico Maria Sforza, detto il Moro, duca di Milano, sono due esempi eclatanti di questa definizione del potere. Contemporanei e quasi coetanei, Lorenzo nasce a Firenze nel 1449 e Ludovico a Vigevano nel 1452, hanno interpretato in maniera differente l’essere governanti rinascimentali.
Lorenzo è figlio di Piero de’ Medici, e suo nonno Cosimo è stato il fondatore di fatto di una signoria su Firenze, nonostante fosse la repubblica la forma di governo della città. Lorenzo giunse al potere giovanissimo, alla morte di suo padre nel 1469, esercitandolo in modo equilibrato, accrescendo attorno a sé il consenso popolare e favorendo lo sviluppo sociale ed economico della città, senza mai diventare ufficialmente signore di Firenze. Dopotutto il capoluogo toscano è stato la culla dell’Umanesimo e i tiranni non venivano particolarmente amati dai fiorentini, conferma di ciò sono state le congiure organizzate contro Cosimo e Piero. Consapevole della fragilità politica presente nella penisola, Lorenzo impostò i rapporti con i diversi stati regionali all’insegna della diplomazia e del dialogo, divenendo una specie di ago della bilancia italiana.
Il suo più grande merito è stato indubbiamente quello di essere stato un mecenate culturale. Infatti intorno a lui si formò una cerchia di intellettuali di altissimo livello. Sul versante artistico vediamo in prima linea la bottega di Andrea del Verrocchio con i suoi allievi, primi fra tutti Botticelli e Leonardo. In ambito filosofico e letterario spiccano gli umanisti Marsilio Ficino, Pico della Mirandola e il poeta Luigi Pulci, l’autore del Morgante. Da tutta Italia si guardava a Firenze come modello culturale, letterario e linguistico tanto che l’idioma di Dante, Petrarca e Boccaccio sarebbe diventato lo strumento di comunicazione per superare il provincialismo dei dialetti.
Nel 1478, però, Firenze venne sconvolta da una congiura, quella dei Pazzi, famiglia rivale dei Medici che ordì un sanguinoso agguato nella chiesa di Santa Maria del Fiore, nel quale perse la vita il fratello de il Magnifico, Giuliano. Lorenzo, riuscito a fuggire, scatenò una feroce repressione che segnò la fine delle libertà repubblicane e della Firenze conosciuta fino a quel momento. Nel tramonto dello splendore laurenziano emerge una nuova figura, il frate predicatore Girolamo Savonarola. Quando Lorenzo il Magnifico muore, nel 1492, il frate guiderà una sorta di rivoluzione morale. Lo stato inteso come opera d’arte non sopravviverà che un paio d’anni a Lorenzo: nel 1494 il popolo fiorentino caccerà per ignominia i Medici.
Ludovico il Moro salì al potere nel 1480 quando riuscì a usurparlo alla reggente, la duchessa Bona di Savoia , e al suo segretario, Ciccio Simonetta. Giangaleazzo, figlio del fratello maggiore di Ludovico che era stato assassinato nel 1476, restava il duca nominale di Milano, ma il vero padrone era lo zio, il Moro. Privo della reale legittimazione, Ludovico sfruttò la cultura e le arti per promuovere la propria immagine di principe illuminato. Cercò di imitare Lorenzo come mecenate, trasformando Milano da una città medievale in un grande cantiere del Rinascimento. Fra gli artisti e i letterati invitati nel capoluogo lombardo, il più illustre è stato Leonardo, che si occupò tra l’altro di eseguire i ritratti di due favorite di Ludovico, Cecilia Gallerani (la “Dama dell’ermellino”) e Lucrezia Crivelli (la “Belle Ferronière”). Su ordine di Ludovico il castello di Porta Giovia diventò una splendida residenza principesca e vennero ripresi i lavori per completare il Duomo.
Al Moro non interessava la politica dell’equilibrio di Lorenzo, ciò di cui gli importava era il consolidamento del potere personale. Riuscì a farsi riconoscere come il solo interlocutore dagli altri principi italiani. Lo stesso re di Napoli, Ferdinando d’Aragona, concesse a lui il titolo di duca di Bari e a Giangaleazzo la figlia Isabella in sposa. A questo punto, però, Ludovico sentì minacciato il suo potere dal nipote maggiorenne e si convinse a cambiare alleanze, rivolgendosi a potenze straniere. L’imperatore Massimiliano d’Asburgo lo riconobbe quale duca legittimo di Milano mentre Giangaleazzo muore in circostanze misteriose a Pavia. Carlo VIII, re di Francia, conquistò Napoli nel 1494 e questo evento enfatizzò ancor di più il trionfo di Ludovico. Ma con un nuovo cambio di alleanze, Ludovico riuscì a cacciare i francesi dall’Italia. Però siamo ormai all’epilogo della sua carriera politica. Il nuovo re di Francia, Luigi XII, riconquistò Milano solo quattro anni più tardi, nel 1499. Il Moro vi fece ritorno per pochi mesi, ma venne nuovamente sconfitto nella battaglia di Novara del 1500. Terminò i suoi giorni prigioniero nel castello di Loches, in Francia, fino alla sua morte nel 1508. La sua parabola discensiva fu così repentina da sorprendere gli stessi contemporanei.
L’analisi storica successiva non ha dubbi ad assegnare a Lorenzo gli aspetti positivi del Rinascimento e a Ludovico le ombre e talvolta persino le colpe della crisi politica e culturale del nostro paese. Con la discesa nella penisola di Carlo VIII iniziò il convulso periodo delle Guerre d’Italia e le continue ingerenze straniere nella maggior parte dei nostri stati regionali. Nella realtà non è possibile comunque imputare ai comportamenti sbagliati di un solo uomo tutte le cause di questa crisi. Anzi, durante il periodo di governo di Milano, Ludovico si dimostrò un principe energico, amato dalla popolazione e, ancor più di Lorenzo, promotore di elementi di modernità e di un potere più dinamico. Lorenzo fu invece l’uomo dell’equilibrio statico, della conservazione dello status quo.
Il giudizio più netto su Ludovico fu quello espresso dallo stesso Leonardo: “Il duca perso lo stato e la roba e libertà e nessuna sua opera si finì per lui”, ovvero l’artista scienziato gli rimproverava di non essere stato in grado di portare a termine alcuna opera e di aver costruito un illusorio castello di carte, destinato a crollare alla prima ventata.
Lo stato come opera d’arte, le interpretazioni del potere
Da Lorenzo il Magnifico a Ludovico il Moro
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