In prossimità delle feste natalizie, mentre molti si preoccupano di come e dove trascorrere in allegria le vacanze o di cosa inventarsi per fare un regalo gradito a parenti o innamorati, sarebbe doveroso dedicare un pensiero a chi si trova in vera difficoltà. Non solo chi vive ai margini, dormendo all’aperto e sopravvivendo grazie a sostegni o elemosine, può essere definito povero. Purtroppo, stando alle statistiche, anche chi ha un’occupazione, talmente poco retribuita da non garantire una vita dignitosa, rientra nella categoria.
E che dire di chi non ha mai avuto un lavoro, o può contare solo su impieghi saltuari e mal retribuiti? In Italia esistono, e purtroppo sono sempre esistite, migliaia di persone che, pur volendo lavorare, non riescono a trovare una soluzione, perché il lavoro non c’è per tutti o è talmente mal retribuito e sfruttato che non conviene neppure accettarlo.
Qualcuno potrebbe obiettare che la contrapposizione tra ricchi e poveri sia superata, ma i dati dimostrano il contrario. Le statistiche sono chiare: mancano le condizioni strutturali per garantire a tutti l’accesso al lavoro. L’Italia non è attesa da un futuro di crescita del PIL, ma da un incremento della povertà. Nessuna riforma del cuneo fiscale potrà rilanciare seriamente l’occupazione. Cuneo o non cuneo, i poveri rimarranno poveri e i ricchi continueranno ad arricchirsi.
La povertà potrà forse essere raccontata come una colpa dei poveri, ma solo quando saranno risolti i problemi strutturali del Paese: mafia, burocrazia, evasione fiscale e, soprattutto, corruzione. Sebbene non sia possibile quantificare con precisione i miliardi di euro che queste problematiche sottraggono all’economia italiana, il danno è sicuramente ingente.
Questo è un Paese in cui molti poveri sono condannati a rimanere tali, nonostante la voglia di impegnarsi. È stato giusto abolire il reddito di cittadinanza in un’Italia in cui il PIL è cresciuto in media dello 0,2% negli ultimi vent’anni? Gli esperti parlano apertamente di “crescita zero”.
Una delle principali critiche al reddito di cittadinanza è che fosse stato sfruttato da chi non ne aveva diritto. Vero, l’arte di fare il “furbo” è tristemente diffusa in Italia. Tuttavia, i disonesti si trovano tanto tra i ricchi quanto tra i poveri. La differenza sta nella severità delle sanzioni: mentre la classe povera viene colpita nella sua totalità per gli abusi di pochi, la classe benestante ne esce sempre relativamente indenne. Per esempio, il fatto che alcuni imprenditori abbiano evaso milioni di euro non porta a penalizzare l’intera categoria.
I partiti italiani che difendono chi vive al di sopra della soglia di povertà sono molti di più rispetto a quelli che si occupano dei più svantaggiati. Un’altra critica al reddito di cittadinanza è che abbia incoraggiato l’inerzia, trasformando i bisognosi in perdigiorno. I sostenitori di questa tesi avrebbero preferito destinare i fondi alle imprese, sperando che questo creasse posti di lavoro. Ma sappiamo bene che la crescita dei profitti aziendali non si traduce automaticamente in un miglioramento delle condizioni di vita per i dipendenti.
Per il titolare d’impresa, aumentare il numero di dipendenti non è un valore, ma un problema: una spesa e una complessità in più, insomma una “rogna”. L’obiettivo dell’imprenditore è aumentare la produzione, possibilmente riducendo il personale.
Chi promette di aiutare i poveri attraverso il rilancio dell’economia sta bluffando. L’economia italiana non sarà mai in grado di crescere al punto da sollevare 5,6 milioni di persone dalla povertà. Negli ultimi anni, il nostro Paese ha subito le conseguenze della crisi del 2008, della pandemia di Covid-19 e della guerra in Ucraina. I governi che si sono succeduti non hanno risolto neanche uno dei problemi che hanno portato a questa situazione.
O si aiuta direttamente chi è in difficoltà, oppure non verrà mai aiutato, se non da qualche associazione di beneficenza. E, per concludere, è tornata tristemente attuale una frase celebre del passato: me ne frego.
Poveri ma belli?
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