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lunedì, Febbraio 17, 2025

    A metà strada tra 1984 e Matrix

    E se i video come GRWM (“Get Ready With Me”), quei brevi filmati in cui ragazze, content creator e influencer si mostrano mentre scelgono il loro outfit del giorno, i balletti e i gameplay non fossero solo un innocente, ancorché preoccupante, passatempo? E se invece rappresentassero una vera e propria arma di distrazione di massa, un attacco allo sviluppo cognitivo delle nuove generazioni occidentali, progettato e messo in atto dalla Cina? Tra un tutorial di make-up e una sfida virale, TikTok, sviluppato dalla cinese ByteDance, è diventato uno dei social media più popolari al mondo, con oltre un miliardo di utenti attivi mensili. I suoi contenuti, apparentemente innocui, trascinano milioni di giovani in un flusso incessante di video brevi e ad alto impatto emozionale, ma potrebbero celare un disegno ben più sofisticato, potrebbe essere il risultato di una strategia deliberata progettata a tavolino. Quel 35% di italiani adulti affetti dal cosiddetto “analfabetismo funzionale”, insieme al 26% della media OCSE, potrebbe non rappresentare un “semplice” deterioramento delle capacità intellettive del nostro tempo, ma potrebbe essere il risultato di una vera e propria aggressione attuata con “armi cognitive”.

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    In Cina, TikTok non è accessibile. Al suo posto esiste Douyin, una piattaforma gemella che, a differenza della versione internazionale, promuove contenuti educativi, aspirazionali e motivazionali. Qui, i video non si limitano all’intrattenimento: si concentrano su scoperte scientifiche, storie di successo, tutorial pratici e cultura civica. Gli algoritmi di Douyin sono progettati per premiare questi contenuti, stimolando la crescita intellettiva e il senso civico degli utenti, in particolare dei più giovani. In parallelo, il governo cinese impone rigide limitazioni: ai minori di 14 anni è consentito utilizzare Douyin per soli 40 minuti al giorno, e i contenuti visibili in questa fascia d’età devono rispettare criteri educativi rigorosi.

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    Questa contrapposizione tra Douyin e TikTok non è casuale. Numerosi studi dimostrano come il tempo passato sui social media influisca profondamente sullo sviluppo cognitivo. Il consumo passivo di contenuti frammentati, tipico di TikTok, riduce la capacità di attenzione e ostacola lo sviluppo del pensiero critico, alimentando al contempo un ciclo di dipendenza digitale basato sul rilascio continuo di dopamina. L’utente medio di TikTok trascorre oltre novanta minuti al giorno sulla piattaforma, immerso in un flusso di video che spaziano dai balletti virali alle challenge pericolose, dalle teorie complottiste a meme di dubbio valore culturale. Ad esempio, clip che raccolgono milioni di visualizzazioni per un ballo ripetitivo o un gesto virale non apportano alcun contributo alla crescita personale o intellettuale degli utenti. Al contrario, accentuano un consumo passivo che non stimola la curiosità o il pensiero critico.

    Dietro questa dinamica, alcuni osservatori vedono una strategia deliberata, che va oltre la semplice differenziazione di mercato. Secondo il giornalista e geopolitico Kai Strittmatter, nel suo libro “La dittatura perfetta”, il controllo cognitivo rappresenta una delle armi più sottili e potenti utilizzate dal governo cinese per influenzare il panorama globale. L’idea di distrarre e frammentare le giovani generazioni nei paesi concorrenti attraverso contenuti superficiali non è casuale: è una forma di manipolazione culturale che mira a rallentare il loro progresso educativo e sociale. Nel frattempo, in Cina, Douyin viene impiegato come uno strumento di condizionamento culturale, progettato per stimolare lo sviluppo cognitivo e rafforzare valori collettivi. La protezione dei giovani passa anche attraverso normative severe che limitano l’uso dei social media e garantiscono che i contenuti promossi siano educativi e aspirazionali. Questo contrasto è emblematico: mentre la Cina costruisce una generazione ispirata e consapevole, il resto del mondo sembra abdicare alla propria responsabilità educativa, lasciando che algoritmi senza supervisione modellino la società.

    Le istituzioni internazionali e i governi occidentali hanno finora mantenuto un approccio prudente e poco incisivo nei confronti della crescita esponenziale di piattaforme come TikTok. Questa mancanza di intervento ha lasciato ampio spazio a una diffusione globale di contenuti che, pur affascinanti e capaci di catturare l’attenzione di milioni di giovani, raramente promuovono un reale valore educativo. Al contrario, si tratta spesso di materiali pensati per massimizzare il tempo di permanenza sulla piattaforma, sacrificando la qualità a favore della quantità. Allo stesso tempo, molte famiglie, spesso inconsapevoli delle dinamiche dietro gli algoritmi, permettono ai più giovani di trascorrere ore immersi in questo flusso continuo. L’effetto cumulativo è una generazione sempre più attratta da contenuti che difficilmente stimolano il pensiero critico o arricchiscono il bagaglio culturale. Questo utilizzo, privo di una supervisione consapevole e di regolamentazioni adeguate, rischia di influenzare negativamente lo sviluppo cognitivo e la salute mentale delle nuove generazioni. La posta in gioco è alta: non si tratta solo di proteggere i minori, ma di preservare la coesione sociale e il potenziale intellettivo delle future generazioni. L’introduzione di limiti di utilizzo per i minori, la promozione di contenuti educativi attraverso incentivi algoritmici e una maggiore consapevolezza da parte delle famiglie potrebbero rappresentare i primi passi verso un cambiamento necessario. In un contesto in cui i social media plasmano sempre più profondamente le menti dei giovani, ignorare questa sfida significherebbe consegnare il futuro a un algoritmo che non agisce nel nostro interesse.

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