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domenica, Gennaio 19, 2025

    Giovanni Brunero, quell’eroe della bici che da Ceretta conquistò l’Italia

    “Una storia d’altri tempi, di prima del motore, quando si correva per rabbia o per amore…”; cantava così Francesco De Gregori nella canzone “Il bandito e il campione”, che esaltava le gesta di Costante Girardengo (il campione) con la bicicletta e di Sante Pollastri (il bandito) con la rivoltella.
    In quell’epoca il ciclismo era lo sport nazionale per eccellenza, visto che il calcio, pur essendo già sbocciato era ancora troppo acerbo; Coppi e Bartali erano ancora bambini e la scena delle due ruote era tutta di Girardendo e Alfredo Binda, gli altri contavano solo per tirare le volate, da buoni gregari. Tra questi “altri” c’era un corridore di San Maurizio Canavese, per la precisione di frazione Ceretta, di due anni più giovane di Girardengo e sette anni più anziano di Binda: parliamo di Giovanni Brunero, nato nel comune torinese il 4 ottobre 1895. Nelle scorse settimane c’è stato il novantesimo anniversario della sua morte, avvenuta a Ciriè.
    Partecipò alla Prima Guerra Mondiale, era nei Bersaglieri Ciclisti; tornato a casa, dopo il 1918, riprese gli allenamenti sulle strade canavesane, per diventare un vero corridore. Nel 1919 passò professionista, dopo l’exploit nel campionato italiano. Al giro dell’Emilia del 1920 trovò la vittoria, nel 1921 partecipò al suo primo Giro d’Italia. Le tappe furono dieci, Costante Girardengo vinse le prime quattro, poi si scontrò in gara con un avversario, riportando alcuni guai fisici che lo costrinsero al ritiro. Giovanni Brunero, con la vittoria nella tappa Roma-Livorno e grazie ad alcuni buoni piazzamenti precedenti, vinse il Giro. Nel 1922 conquistò la Milano-Sanremo e alcuni mesi dopo concesse il bis nella “rosea”: primeggiò in tre delle dieci frazioni, ebbe un momento di difficoltà tra la terza e la quarta tappa poi, con il successo nella Roma-Firenze, ipotecò la vittoria finale, che arrivò con il primo posto nella conclusiva Torino-Milano.
    Nel 1923, sempre nella più famosa gara a tappe nazionale, giunse secondo, dietro a Costante Girardengo, con un ritardo di soli 37 secondi. Dopo la leadership al Giro della Lombardia, nel 1926, arrivò il terzo successo “in rosa” al Giro. Vinse una sola tappa, ma i buoni piazzamenti in diverse frazioni lo resero il corridore più lineare di tutti, senza alti e bassi, sempre ben piazzato. Qualità che gli consentirono di battere la concorrenza del compagno di squadra Alfredo Binda (della società Legnano), infliggendogli, alla fine ben 15′ 28” di distacco.
    L’anno dopo ottenne il “bronzo” nella Milano-Sanremo e il nono posto al Giro, chiudendo la carriera nel 1929, con questo palmares: tre Giri d’Italia, diverse tappe, un campionato italiano tra i dilettanti, un Giro dell’Emilia, un Giro del Piemonte, un Giro della Provincia di Milano e un Giro della Romagna. Nel 1924 partecipò anche al Tour de France, vincendo la decima tappa (la Nizza-Briançon) in un giro dominato da Ottavio Bottecchia. Brunero fu costretto poi al ritiro per un’irritazione cutanea: era al terzo posto e ancora competitivo per agganciare in vetta il corridore veneto, ma dovette arrendersi.
    C’è da dire che la popolarità di Giovanni Brunero fu al di sotto dei risultati che ottenne e della bravura che evidenziò. Fu ottimo corridore e grande uomo di sport.
    Probabilmente “osò” intromettersi tra lo strapotere di Girardengo e Binda, risultando “indigesto” ai commentatori del ciclismo di allora, che amavano i dualismi, le sfide da rotocalco, senza valorizzare il valore di quegli atleti dotati di grande tecnica ma meno “appariscenti” mediaticamente rispetto ad altri. Proprio come accade ai nostri tempi.
    Poco dopo il ritiro, Brunero si sposò con Matilde Genta, andando a vivere a Ciriè, località che rappresentava un punto di riferimento per il mondo del ciclismo, scelta anche da un altro campione come Giuseppe Enrici (vincitore del Giro d’Italia del 1924) per viverci diversi anni, prima di trasferirsi in Francia. Brunero a soli 38 anni si ammalò di tumore, le cui avvisaglie emersero quando era ancora in attività agonistica: morì ancora giovane, il 23 novembre 1934, in quella Ciriè che lo aveva accolto, a soli quattro chilometri dalla sua frazione natìa.
    Brunero aveva soli 39 anni e la mitezza, la modestia e la discrezione, che caratterizzarono la sua carriera, gli impedirono di rimanere un’icona nella memoria dello sport italiano. Come invece avrebbe meritato.

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