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lunedì, Febbraio 17, 2025

    In hoc signo vinces!

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    Il Musinè è una montagna che può essere considerata una sorta di laboratorio del mito: da ricettacolo di streghe a base per gli extraterrestri, questa piccola montagna, che si erge alla porte di Torino, ha acquisito un vissuto nel quale la realtà e la fantasia si confondono, al punto tale da creare un tessuto così fitto nel quale è difficile scindere il vero dal falso. Se ci affidiamo alla razionalità, non possiamo fare altro che riconoscere in questo rilievo gli echi della tradizione leggendaria che spesso circonda le montagne. In un passato lontano furono pantheon di divinità, poi rifugio di creature del mito e ambiente compreso tra l’orrido e il sublime, nel quale orchestrare empatie ed emozioni del pensiero romantico. Oggi, questo background mitico riverbera ancora nelle leggende e nelle tradizioni che costituiscono l’aura “soprannaturale” delle montagne.
    Con i suoi 1150 metri sul livello del mare, forte della sua tipica struttura piramidale, questo rilievo si erge come ultimo baluardo delle propaggini alpine prima dell’inizio della pianura. La sua tozza forma domina su Torino, creando un paesaggio suggestivo e certamente un po’ inquietante.
    Prima che gli extraterrestri fossero uno dei più complessi enigmi del nostro tempo, erano altri i misteri profondamente radicati nella montagna. In testa a tutti, la credenza del sabba celebrato lungo le pendici del Musinè, in particolare dove i grandi massi potevano essere facilmente trasformati in “altare” adatto ai riti delle streghe.
    Ed è forse da identificare in questa remota memoria (come è evidente anche in altri casi della cultura montana) la credenza che interpreta nei massi con coppelle degli altari su cui il sangue della vittima veniva fatto colare per motivi rituali. Tesi ricca di fantasia, che certo ha trovato un’ampia diffusione per il suo aspetto gotico e truculento.
    La toponomastica locale è stata influenzata da queste leggende, assegnando alle diverse aree del rilievo dei nomi in cui ritornano frequentemente figure come le “masche”, “faje”, “diau”… Una zona considerata il luogo deputato per il sabba è posta a mezza costa, poco lontano dalla chiesetta di Sant’Abaco: è una piccola radura in cui si trovano cinque pietre, alcune squadrate, disposte in modo tale da ricordare un allineamento volontario, tipico delle culture preistoriche nordeuropee.
    Come già indicato, le incisioni rupestri presenti sul Musinè sono costituite soprattutto da coppelle: ne sono state realizzate un certo numero, singole e raggruppate; alcune raggiungono un diametro di circa venticinque centimetri. In alcuni gruppi di coppelle presenti su questo rilievo c’è chi ha voluto vedere la raffigurazione di “costellazioni” realizzate in tempi molto lontani! Possibile? L’esperienza ci insegna che quando si è spinti dal “sacro fuoco” del mito spesso si tende a interpretare le forme grafiche astratte con intenzioni finalizzate a darne un senso a ogni costo. Nel caso specifico le “costellazioni” sono tali se dalla superficie litica sulla quale sono state incise, si estrapolano solo quelle che “servono” a conformarsi nel soggetto desiderato. Troppo facile!
    Poi, l’abbiamo già detto, non mancano altre raffigurazioni che quasi certamente sono il risultato di rozze operazioni di incisione in tempi moderni e determinate a relazionare l’iconografia presente sulle pietre ai miti creati intorno al singolare rilievo valsusino. Ne sono un esempio indicativo gli antropomorfi tracciati sul cosiddetto “menhir”, sul quale compaiono anche alcune forme che, ipotizziamo, nella fantasia degli esecutori moderni dovrebbero essere “dischi volanti”… Oppure misteriosi culti con tanto di vittime sacrificate alla divinità celeste.
    Nelle migliaia di siti web che trattano del Musinè troviamo una notevole enfatizzazione degli aspetti ufologici di questa montagna: vi sono veri e propri tour organizzati per portare i “turisti del mistero” sulle pendici di un rilievo, che viene anche indicato come una sorta di “astroporto”, naturalmente non visibile perché celato all’interno della massa litica.
    Certamente l’aspetto del luogo ha offerto un territorio molto fertile, creando i presupposti per molteplici leggende in risonanza con le credenze del tempo, che per natura spesso sono indotte a risemantizzare personaggi, creature soprannaturali e mostri: ieri demoni e angeli, oggi dischi volanti.
    Un altro aspetto del Musinè che ci consente qualche riflessione sulla portata simbolica riconosciuta a questo monte piemontese, è dato dalla presenza della grande croce in muratura innalzata sulla vetta, con la scritta “In hoc signo vinces” e che riverbera la vittoria di Costantino su Massenzio a Ponte Milvio.
    A quel punto vi è chi ha voluto collocare, proprio ai piedi del Musinè il luogo in cui Costantino avrebbe sognato la croce luminosa in cielo. Ovviamente si tratta di un’interpretazione leggendaria senza alcun riferimento storico, ammesso che quella visione onirica non sia solo agiografia.
    Secondo la versione canonica, l’evento sarebbe avvenuto il 28 ottobre 312 nell’area definita saxa rubra, cioè nel tratto in cui la via Tiberina si univa con la Flaminia e immediatamente prima della battaglia con le truppe di Massenzio. In quel luogo si svolse lo scontro, generalmente noto come la “battaglia di Ponte Milvio”: il nome deriva dal ponte provvisorio utilizzato da Massenzio per far transitare le sue truppe dall’area in cui erano acquartierate al punto dello scontro.
    Da allora, la croce, simbolo di martirio e di redenzione, fu mutata in simbolo di potere utilizzato dalle autorità politiche e religiose.
    L’evento soprannaturale circoscritto all’apparizione della scritta celeste “In hoc signo vinces” (Εν τούτω νίκα) risulta raffigurato nell’iconografia cristiana a partire soprattutto dal rinascimento. L’episodio è narrato da Eusebio di Cesarea e da Lucio Cecilio Firmiano Lattanzio, ma nelle singole versioni vi sono delle notevoli differenze.
    Quella maggiormente diffusa narra che Costantino, il giorno precedente lo scontro con Massenzio, si rivolse al Dio dei cristiani per chiedere protezione: in quell’occasione il cielo si illuminò con la scritta su una croce. Durante la notte gli apparve Cristo, che gli ordinò di adottare quel segno visto in cielo come proprio vessillo. Secondo l’interpretazione agiografica, da quel momento l’imperatore si convertì al Cristianesimo e fece adottare alle proprie truppe il labaro con il simbolo chi-rho (monogramma di Cristo) costituto dalle lettere XP (le prime due della parola greca Christos: χριστοσ).
    Il Musiné, per i creatori di miti, si è rivelato fertile terreno per fantasticare sulla possibilità che in quel luogo Costantino avrebbe avuto la sua famosa visione celeste. Visione che, ammesso sia avvenuta, non si verificò di certo in Valle di Susa. E tanto meno in quell’area che, come recita una singolare epigrafe posta sulla vetta della montagna, sarebbe dotata di una straordinari poteri: “Qui è l’una antenna / dei 7 punti / elettrodinamici / che dal proprio / nucleo / incandescente vivo / la terra tutta / respira emette / vita./ Qui operano / le entità astrali / che furono: / Hatshepsut / Echinaton / Gesù il Cristo / Maometto / Confucio / Abramo / il Buddha / Gandhi / Martin Luther King / Francesco d’Assisi / e / anche tu / se vuoi / alla fratellanza costruttiva / tra tutti i popoli / pensaci / intensamente / 3 minuti. / Pensiero e costruzione”.
    Il testo, nella sua semplicità e nell’arcaismo del linguaggio, di fatto sembra sorreggersi su temi tanto cari alla New Age, strutturandosi su un sincretismo che focalizza il proprio dettato sul tema della fratellanza: motivo ricorrente tra quanti tentano di stabilire un legame spirituale con eventuali altri mondi, attraverso l’unione del pensiero e delle forze interiori.
    Inutile dire che l’aura vagamente mistica prodotta dal testo ha ulteriormente elettrizzato l’atmosfera magico-esoterica caratterizzante il Musinè: scenografia ad hoc nella quale collocare figure fantastiche e improbabili “canali” di collegamento verso “altre dimensioni”.

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