Le bande sono in grande difficoltà, non è una notizia nuova. I soci delle oltre 1300 bande iscritte all’Anbima (Associazione Nazionale Bande Italiane Autonome) sono calati negli ultimi 10 anni da oltre 66 mila a circa 58 mila.
Il ricambio generazionale si sta estinguendo. I giovani sono sempre meno attratti dall’ambiente un po’ eterogeneo della banda e si omologano sui social, che assorbono buona parte delle loro energie.
Anche i fondi a disposizione sono sempre più esigui. Associazioni con fine culturale e non commerciale, le bande vivono principalmente dei contributi pubblici delle amministrazioni locali. Fondi sempre più scarsi e spesso dirottati verso altre emergenze.
Non parliamo poi della burocrazia, sempre più invasiva. Con la riforma del Terzo Settore, encomiabile per tanti aspetti, le Regioni richiedono alle associazioni una serie di adempimenti a volte ovvi come redigere il bilancio o tenere il registro dei soci. Mai i problemi cominciano quando i Presidenti devono accedere, quando funziona, al RUNTS (Registro Unico Nazionale Terzo Settore) con il loro SPID e caricare i documenti. Che tra l’altro devono essere firmati digitalmente e avere la “marca temporale”. E certe informazioni (ad esempio il numero dei soci, dei volontari, i nominativi dei membri dei direttivi) vanno inserite ogni anno anche se non sono cambiate.
In più è sempre presente la spada di Damocle della adozione obbligatoria della partita IVA (ne abbiamo già parlato nel numero di marzo) a partire dal prossimo 1 gennaio, salvo un nuovo decreto Milleproroghe.
Nei rendiconti delle bande dei secoli scorsi la principale voce di spesa era il vino, oggi rischia di essere il commercialista.
Per salvarsi la tendenza degli ultimi tempi è “fare rete”. Superato il vecchio campanilismo alla Guareschi, sempre più associazioni cooperano tra di loro, si uniscono in progetti comuni. Mettono insieme maestri e insegnanti, anche loro sempre più scarsi visto che di musica ormai non si vive. E meno male che c’è l’Anbima che supporta le bande locali nella gestione operativa ma soprattutto contribuisce a fare formazione con iniziative di alto livello dirette a tutti gli iscritti, anche ai meno giovani.
Ma allora facciamoci una domanda: a fine 2024 le bande servono ancora? La risposta è sì. In un mondo in cui la musica artificiale ci scorre addosso dal mattino alla sera, c’è ancora bisogno di musica autentica, vera, suonata, non sintetizzata. Serve al cervello di chi la fa e al cuore di chi la ascolta.
Si stima chi in Italia ci siano ancora circa 6000 bande, quasi una per comune (a volte anche due come da noi a San Maurizio Canavese). Ma ce lo immaginiamo un 25 aprile, una festa patronale, un 4 novembre senza la banda?
Le bande servono ancora?
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