Per questo numero di Piazze Amiche torniamo, in Umbria, a incrociarci con un’altra Pro Loco editrice di giornali. Una Pro Loco che abbiamo avuto il piacere di conoscere la prima volta, quasi 13 anni fa, a Caselle Torinese, in quel (per noi) mitico primo raduno dei giornali di comunità, a marzo 2012, da cui partì poi l’esperienza GEPLI.
Un’associazione, la Pro Ruscio, che fa capo a una realtà territoriale da classificare fra le “piccolissime”, se guardiamo al numero di abitanti della località, ma che possiamo definire “grande” per impegno e qualità delle iniziative che propone e porta avanti. Specie in campo culturale, con una particolare attenzione ai temi di storia locale. L’articolo qui ripubblicato è stato scritto da Francesco Peroni, segretario della Pro Ruscio, per l’ultimo numero del giornale “La Barrozza”, e riguarda un periodo storico di grande interesse per Ruscio, che fu sede di dogana dello Stato Pontificio, fino al suo epilogo per le vicende risorgimentali.

La Tromba di Garibaldi
Certamente tra i cimeli familiari più cari del maestro della Banda di Monteleone di Spoleto “Carlo Innocenzi”, Ottaviano Panfili, c’è certamente una tromba. Tecnicamente si tratta di una tromba militare appartenuta al nonno del nonno (di Ottaviano) Ottavio. L’onomatopea del nome si rincorre tra le generazioni dei Panfili di Casteldilago, piccolo borgo sito nel comune di Arrone (provincia di Terni) edificato su un verde pianoro roccioso che sovrasta di oltre cento metri la valle dove scorre il fiume Nera.
Proprio da qui era partito il nostro Ottavio, di professione calzolaio, richiamato dallo spirito di avventura che spesso alberga nei cuori più puri, sensibile al richiamo del Generale Garibaldi e dell’entusiasmante sogno di una Italia unita.
E quindi, lasciato il desco dell’usato lavoro – con chi sa quali rimostranze da parte della moglie e dei figli – nel 1867 raggiunse gli 8.000 volontari, reclutati tra Terni ed Orvieto che, nel settembre dello stesso anno, “per fare l’Italia” varcarono il confine con lo Stato Pontificio.
Li, furono raggiunti da Garibaldi, fuggito dall’isola di Caprera dove il Presidente del Consiglio Rattazzi lo aveva rinchiuso per evitare che, rinfrancato dalla vittoria di Bezzecca, l’indomabile Generale muovesse contro Roma.
Il 22 ottobre si tentò allora di organizzare l’insurrezione a Roma con un attentato dinamitardo presso la caserma Serristori. Ma Roma, indolente come al solito, non insorse e, cosa ancora più grave, i volontari garibaldini, guidati dai fratelli Cairoli, giunti a Villa Glori in Roma per prendere contatto con i rivoluzionari romani, non trovarono nessuno ad attenderli e vennero sopraffatti dai Carabinieri svizzeri dell’esercito pontificio.
Nel frattempo, la legione garibaldina si stava dirigendo verso Roma. Il 24 ottobre, i garibaldini ingaggiarono un duro scontro con i soldati pontifici nella piazzaforte di Monterotondo, che fu conquistata al termine di un cruento assalto condotto il 25 ottobre.
Dopo aver atteso invano l’insurrezione di Roma, Garibaldi, deluso ma non battuto, decise di raggiungere Tivoli per sciogliere la legione. Il 3 novembre, a Mentana, avvenne lo scontro, prima con i pontifici e subito dopo con i francesi. Terminati i combattimenti, circa 1300 garibaldini furono presi prigionieri, circa 150 furono i morti e numerosi i feriti, trasferiti all’ospedale Santo Spirito di Roma.
E proprio a Mentana, il segnale della carica fu dato dal nostro Ottavio Panfili, proprio con quella tromba che il suo quasi omonimo discendente, maestro della nostra Banda, non solo ha mostrato ai partecipanti la Commemorazione dei Caduti di Ruscio, ma che, nel suonare il Silenzio fuori ordinanza, magistralmente, appunto, ha diretto.
In famiglia Panfili, si tramanda un aneddoto particolare. Un giorno, ormai tornato a casa dalle campagne di guerra risorgimentali, in sua assenza, i nipoti Domenico e Ottavio (ed ecco ancora il nome che si rincorre tra le generazioni) s’arrampicarono sul desco e con la subia cavarono per gioco gli occhi all’immagine di Garibaldi che troneggiava nel suo piccolo laboratorio. Comprensibile l’irritazione del nonno come lo spavento dei due monelli, che per evitare la punizione si nascosero per tre giorni sul campanile della Chiesa di San Valentino.
Un particolare ringraziamento al nostro Ottaviano contemporaneo, per la bella storia di vita familiare che ci ha voluto regalare, e il suo quotidiano impegno nella direzione della nostra Banda, di cui andiamo così orgogliosi!
Francesco Peroni

