Il nuovo anno si è aperto a un mondo sempre più cattivo e chiuso con una parola che sembra sì avventata e lontana, ma è l’unica capace di farci guardare al futuro con una prospettiva: speranza.
Una speranza, si badi, non fatta di sola attesa, quanto piuttosto di azioni, per essere partecipi d’un necessario principio di cambiamento.
A rivelarla ci ha pensato Papa Francesco: “La speranza è incompatibile col quieto vivere di chi non alza la voce contro il male e contro le ingiustizie consumate sulla pelle dei più poveri. Esige da noi l’audacia di anticipare questa promessa, attraverso la nostra responsabilità…”
E poi il concetto è stato ripreso dal nostro presidente della Repubblica, nel discorso alla nazione, a poche ore dall’inizio del 2025: “ Papa Francesco ha aperto il Giubileo, facendo risuonare nel mondo il richiamo alla speranza.
Quelle di questa sera sono ore di speranza nel futuro. Tocca a noi saperle tradurre in realtà. Cosa significa concretamente coltivare fiducia in un tempo segnato oltre che dalle guerre, da squilibri, da conflitti? Vi è bisogno di riorientare la convivenza, il modo di vivere insieme. In questo periodo sembra che il mondo sia sottoposto a un’allarmante forza centrifuga, capace di dividere, di allontanare, di radicalizzare le contrapposizioni. Faglie profonde attraversano le nostre società.”
Per chiudere il discorso con un appello vibrante: “Perché la speranza non può tradursi soltanto in attesa inoperosa. La speranza siamo noi. Il nostro impegno. La nostra libertà. Le nostre scelte.”
Nel mezzo tante altre cose dette. Alte e buone. Troppo alte e troppo buone, tanto da essere dimenticate subito dopo? Probabilmente sì, se non hanno avuto l’eco vasta che avrebbero meritato e sono finite nell’indifferenza.
E dire che Mattarella, oltre a ripetere quanto e più che mai la pace gridi la sua urgenza, ha posto l’accento sulla sconfortante sproporzione tra la crescita della spesa in armamenti, che ha toccato nel ’24 la cifra record di 2.443 miliardi di dollari, e quanto stanziato alla recente Cop 29, per contrastare il cambiamento climatico.
Poi di ramo in ramo, il nostro presidente ha toccato tutti gli argomenti sensibili, non dimenticando un solo aspetto di questi anni difficili: salari bassi che sempre più spesso negano alla gente la possibilità di curarsi, visto che, stante la precaria condizione in cui versa la nostra sanità pubblica, altrettanto sempre più spesso non ci sono mezzi per ricorrere alle terapie concesse da privati; lavoro in più ce n’è, ma l’espatrio dei giovani continua, ed è reale che le troppe disparità siano causate dal fatto che la nostra repubblica non riesce a garantire un’effettiva pienezza dei diritti a tutti gli italiani.
E sotto sotto era palese il richiamo a far sì che un ritrovato amor patrio non possa e non debba rifarsi a impronte muscolari, a rieditare nostalgici tragici echi passati: l’appello forte a celebrare in modo degno l’80esimo anniversario della Liberazione deve essere scavato ancora nel solco che ci diede la Costituzione.
Parole nel vuoto.
La riprova? La risposta è venuta giusto qualche giorno dopo da Roma, da via Acca Larentia, con un’adunata di nero vestita a farci capire quale sia la nuova aria, con un solo identificato dalle forze dell’ordine: uno che ha osato gridare “ Viva la Resistenza”.
E che dire della sempre presente minaccia del contributo da sottrarre all’ANPI?
Occorre ripartire dalla speranza che 80 anni dalla Liberazione e dalla Resistenza siano ancora troppo pochi per permettere al buio della ragione di poter tornare.