Alla morte di Enrico II, nel 1199, salì al trono suo figlio, Riccardo I, il quale ereditò un regno di Inghilterra efficiente e organizzato. Riccardo però, dei suoi dieci anni di potere, trascorse solo sei mesi in madrepatria, in quanto si era impegnato a organizzare la terza crociata in Terrasanta e considerava il regno solamente come la fonte d’introiti per finanziare tale impresa. Per questo motivo i più alti onori di Stato, il governo locale delle contee e il controllo dei castelli regi, vennero concessi in cambio di somme di denaro. A suo fratello Giovanni, il quale era stato estromesso dall’eredità paterna e per questo aveva preso il soprannome di Lackland (Senzaterra), Riccardo concesse una specie di principato territoriale, composto dalle contee di Nottingham e di Derby, nelle Midlands, di quelle di Gloucester, Glamorang, Lancaster, Devon e dalla Cornovaglia. In questo modo questa porzione di regno si svincolò dal controllo regio, dato che Giovanni vi stabilì una propria cancelleria per gli affari esteri e un proprio ufficio per le finanze, sottraendoli alla supervisione degli agenti del sovrano.
Furono proprio l’inettitudine al governo di Riccardo e i suoi insuccessi in politica estera a contribuire al perfezionamento dell’apparato amministrativo e fiscale dello Stato. Già l’organizzazione attuata da Enrico II era stata concepita proprio per funzionare al di là della presenza effettiva del sovrano, in quanto tutta una schiera di ministri e funzionari regi avevano il compito di incrementare la riscossione dei tributi al fine di sostenere le spese che l’attività militare dell’epoca richiedeva. Un esempio emblematico di ciò fu il pagamento del riscatto quando lo stesso re nel 1192 venne fatto prigioniero da Leopoldo V d’Austria, che lo passò successivamente all’Imperatore Enrico VI, il quale lo tenne in ostaggio per due anni. La cifra che l’Inghilterra sborsò per la sua liberazione fu pari a cinque volte il bilancio annuale dello Stato, e per affrontare questa enorme spesa venne imposta una tassa straordinaria sulla terra, stabilita dagli inviati regi sulla base dei cosiddetti carucates, corrispondente ciascuno a cento acri di terra arabile.
Nel corso del XII secolo i baroni, ovvero gli esponenti della più alta aristocrazia legati al sovrano dal giuramento di fedeltà feudale, avevano sempre sostenuto il re. Se da un lato le ribellioni si poterono contare sul palmo di una mano, dall’altro Enrico non aveva esitato a conferire ampi poteri al fine di ottenere appoggi ai suoi progetti di riforma.
I primi malcontenti, però, iniziarono a manifestarsi con il regno di Giovanni, quando le continue imposizioni di nuove tasse avrebbero finanziato campagne militari fallimentari. Ciò avvenne nel 1214, a Bouvines, quando il re francese Filippo Augusto inflisse una cocente sconfitta alle armate inglesi così che la situazione interna sfuggì al controllo del re. L’anno seguente, dopo numerose discussioni, un gruppo di baroni stilò un documento che fu inviato a Giovanni perché venisse confermato tramite il suo sigillo. Il re rifiutò e i baroni marciarono su Londra e la occuparono. A questo punto il re si rese conto che era necessario scendere a patti con i rivoltosi e ratificò il documento noto come Magna Charta libertatum. In essa vi era contenuta la prima dettagliata descrizione dei rapporti tra re e baroni, ripristinava nella sostanza i diritti feudali e regolarizzava il sistema giudiziario, prevedendo che ognuno potesse essere giudicato da una corte di suoi pari. Venivano inoltre garantiti privilegi commerciali a Londra e ad altri porti e l’imposizione di tasse straordinarie sarebbe avvenuta solo previo consenso dei baroni.
A opporsi all’assolutismo del re Giovanni erano, non solo i baroni, ma anche la Chiesa, nella persona dei vescovi e dell’arcivescovo di Canterbury, e Londra, la più prestigiosa fra le città mercantili dell’isola. Ma non bisogna credere che costoro fossero spinti nelle loro proteste da istanze innovative, anzi tutto il contrario. Essi infatti non volevano affatto sopprimere il potere del re e chiedevano, non una costituzione intesa in senso moderno, bensì una semplice limitazione degli abusi finanziari e giudiziari. Il loro obiettivo era quindi un riconoscimento del loro status di corpi costituiti. L’autoritarismo del re e dei suoi funzionari veniva visto come una novità, una rottura da quei valori tradizionali e dalle leggi non scritte che consideravano il re come garante di pace e giustizia.
Magna Carta: la prima costituzione della storia
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