Con questo articolo proseguiamo le vicende storiche casellesi durante il periodo dell’occupazione napoleonica, esaminando alcuni documenti che raccontano le vicende della requisizione del convento dei padri Servi di Maria a seguito della soppressione degli enti religiosi che portò il Comune a occupare l’edificio che diventò la nuova sede del palazzo comunale.
Curioso e importante l’inventario, conservato nell’Archivio di Stato di Torino, dei beni appartenuti all’ordine religioso e il loro successivo incanto, che condusse il Comune di Caselle ad acquisire la preziosa pala d’altare del Defendente Ferrari dedicata alla Madonna del Popolo.
La requisizione francese
Come già detto, con la conquista napoleonica, il nuovo governo soppresse tutti gli ordini religiosi e tutte le loro proprietà vennero confiscate; così anche il convento dei Servi di Maria di Caselle, con decreto del 21 Germile, anno 9° della Repubblica Francese (corrispondente all’11 aprile 1801), venne requisito e dato in uso alla Comunità.
“A chi di dovere sia noto essere stata oggi dal Cittadino prete Pietro Capucino consegnata al suddetto Cittadino Catti una lettera missiva del Cittadino Chiabrera membro del Consiglio di Governo, ed Ispettore Superiore delle Finanze Nazionali diretta al Cittadino Giudice di questo Comune in data del giorno di ieri, con cui viene esso Cittadino Giudice invitato all’eseguimento del decreto della Commissione delli 21 medesimo mese, unito per copia autentica Bertino Segretaro alla lettera sudetta, di sopressione del Convento de’ Serviti di questo Comune con divenire alla sicurazione mediante l’opportuno sigillamento della Libreria, Archivi, Libri, granaj, magazzeni, e cantine esistenti dentro o fuori del Convento, e negli ospizi, come altresì a publicare un atto d’inibizione agli Agenti, Massari e chiunque altro avente causa dai Religiosi sudetti di nulla pagare a loro mani, e stabilire intanto una persona proba e responsabile per l’economia provvisionale di detto Convento. In adempimento pertanto a tale invito trasferitosi il predetto Cittadino Luogotenente Giudice con me Segretaro sottoscritto, e di detto Cittadino prete Pietro Capuccino in detto Convento, ed ivi fattisi radunare tutti li Religiosi colà trovatisi nella camera del Cittadino Negri, attualmente infermo e priore di detto Convento, si è dal medesimo Luogotenente Giudice fatta ivi in presenza di tutti li Religiosi ad alta ed intelliggibile voce la lettura del prennominato decreto della Commissione delli 21 corrente germile.
L’inventario
Due giorni dopo il convento venne sigillato e tutti gli oggetti inventariati, tranne le poche cose che vennero ritenute personali dei singoli frati e che vennero loro lasciate.
Il documento d’archivio inizia così:
“L’anno nono della repubblica francese li ventitrè germile (13 Aprile 1801), in Caselle e fabbrica del suddetto sopresso convento giudizialmente avanti il cittadino Notaio Felice Catti, Luogotenente e Giudice di questo Comune attesa l’assenza del Cittadino Giudice, con intervento del Segretaro sottoscritto. A chi di dovere sia noto, che in adempimento del prescritto del decreto della Commissione esecutiva delli 21 corrente (11 aprile 1801), prescrivente la soppressione del Convento dei Servi di Maria di codesto Comune, volendosi divenire alla descrizione, e l’inventario dei libri, ed effetti mobili spettanti a detto convento, dopo la lettura fatta di detto decreto nella camera del Cittadino Negri, già Priore di detto convento, stante l’attuale sua malattia, ed alla presenza di tutti gli individui componenti detto convento, e dopo il sigillamento fatto della libreria, archivi, granaio, e delle camere inservienti di foresteria, ed inabitate, come nel precedente atto, siasi il presente officio trasferito nel refettorio di detto Convento in compagnia dei detti religiosi”.
Inizia così il lungo inventario che parte dai libri contabili (denominati “libri di maneggio”), molto importanti per sapere in seguito quali erano le proprietà e redditi del convento che dovevano diventare di proprietà pubblica:
1°- Giornale di uscita coperto di pergamena principiato col primo gennaio 1784, e continuato con tutto marzo 1801, finente colle parole dicenti, che in tutto formano la somma di lire cinquecento trentatre soldi uno.
2°- Altro ristretto di uscita principiato colle parole dicenti, ristretto dell’uscita del mese di maggio 1772, e continuato per tutto marzo 1801, finente colle parole dicenti, che in tutto formano la somma di L. 533.1.
3°- Altro libro coperto come sovra principiato colle parole dicenti entrata di novembre 1558 continuato per le entrate di tutto marzo 1801 finiente col sommario di L. 524.15.6. …
Finito l’inventario dei libri:“….. si è tosto proceduto al sigillamento della libreria esistente nella camera attigua alla suddetta del Cittadino Negri, con essersi apposto con carta e ceralacca di Spagna il sigillo sopra le serratura dell’uscio di detta libreria, coll’impronta della Libertà; indi si è provveduto al sigillamento dei libri di maneggio di detto convento tenuto dallo Cittadino Rappo procuratore e Danesio Sindaco di esso Convento, con essersi detti libri numero di sette, ed a parte nell’inventario de serviti, sigillati come sovra alla ligatura, e cappio alli medesimi fatto con filo di Spagna ….”.
In seguito la commissione visitò tutte il convento, inventariando tutto quanto esisteva al suo interno, a cominciare dal refettorio, di cui qui si riportano come esempio le prime righe:
Primo: Tavole di noce bislonghe n° 6;
2°: Altra tavola piccola d’albera con suo tirante;
3°: Armari vecchi n° 3
4°: Lavamano con bacile di rame, e trepiede d’albera;
5°: Vinagriè di stagno coi suoi ampollini in buon stato;
6°: Altro in cattivo stato con un sol ampollino;
7°: Posate di ottone compite n° 3;
8°: Tre forchette con due coltelli d’ottone;
9°: Cuchiaroni di ottone uno da zuppa e tre da ragù;
10°: Una lampada di latta coi suoi vetri;
11°: Una forchetta e un coltello detti trincianti;
12°: Sottocoppe di stagno fino piccole n° 5…
Stanza per stanza tutti i mobili e gli oggetti presenti furono catalogati prima che le camere venissero sigillate.
Nell’inventario troviamo tra le altre cose tutte le tende e la lingeria, come asciugamani, tovaglie, lenzuola, spesso descritti anche se molto sinteticamente, come le “quindici tende di tela verde con i loro ferri per le finestre del dormitorio”, oppure la trapunta nuova o una coperta di tela stampata molto logora.
Nella cucina si trovavano tra le altre cose un mortaio in pietra, delle casseruole di rame, delle scodelle di stagno, delle bilance, una caffettiera in rame e un girarrosto con due spiedi.
Nelle stanze vennero inventariati diversi inginocchiatoi, armadi di noce e d’albera (di pioppo), dei pagliericci e anche un “bagnore di latta rotto”.
Nella sacrestia vennero catalogati tutti gli arredi presenti e tutto quanto contenevano, come i messali, i paramenti, i reliquari, i calici (di cui diversi in argento), i candelieri e anche tutte le candele esistenti anche se usate, come “un piccol pezzo del cero pasquale”.
Numerosi erano anche i quadri inventariati, sparsi per tutto l’edificio, purtroppo normalmente descritti semplicemente come quadri, e solo alcune volte vennero catalogati con una descrizione, come ad esempio: “tre quadri con cornice dorata rappresentanti uno i sette fondatori (dell’ordine dei Servi di Maria), gli altri il Beato Angelo Povo e Santa Giuliana”.
Nel refettorio venne inventariato un “quadro grande dipinto sul bosco rappresentante la Vergine con diversi Santi”: dalla sua semplice descrizione si riconosce chiaramente la pala d’altare cinquecentesca rappresentante la Madonna del Popolo, opera del Defendente Ferrari, e oggi conservata nella sala attuale del sindaco.
Allora si trovava nel refettorio, un grande salone del piano terra, che oggi è utilizzato come deposito dalla parrocchia.
Dall’inventario vennero omessi tutti i mobili e oggetti trovati nelle camere dei religiosi, che erano stati riconosciuti come lo stretto necessario per la loro vita.
Terminato l’inventario tutte le porte vennero: “chiavate e sigillate alla mira del buco delle rispettive serrature con carta e cera di Spagna come sopra, e lo stesso si fatto agli usci del granajo e della cantina, previa ricognizione fatta non esistervi cosa alcuna nel granajo alla riserva di pochi faggioli,…..”
L’incanto
Un paio di settimane dopo, esattamente martedì 28 aprile del 1801, tutto quanto inventariato venne messo all’incanto e venduto al miglior offerente.
Solo i beni trovati in sacrestia, giudicati indispensabili per il servizio delle funzioni religiose e ritenuti al servizio della chiesa vennero lasciate alla Parrocchia.
Un dettagliato verbale, conservato nell’archivio di Stato di Torino, permette di conoscere a chi vennero venduti i mobili e gli oggetti del convento e a che prezzo.
“L’anno nono della Repubblica francese li tre fiorile (28 aprile 1801) in Caselle e fabbrica del sopresso Convento suddetto giudicialmente avanti il Cittadino Avvocato Gabriel Caroccio Giudice di questo Comune, e con intervento del Segretaro sottoscritto. Trasfertosi il presente officio in persona di cui sovra nella fabbrica ivi menzionata per ivi procedere all’incanti e delliberamento delli mobili sudetti, ivi gionti fattasi proclamare gli inviti a suon di tromba per mezzo del Serviente di quest’officio Gioanni Fenoglio, e quindi si sono incantati, e deliberati li infrascritti mobili al prezzo infra espresso, e dalli particolari intranominati”.
In due giorni tutto venne venduto e nell’interessante e curioso verbale d’incanto troviamo tra le altre cose:
– Una credenza di noce a Teresa Gajda a lire sei soldi quattro.
– Tredici quadretti piccoli con cornice dorata a Battista Gatta per lire 2.2.
– Un pagliariccio rappezzato di tela a Maria Gaydi per lire 3.9.
– Quattro cadregoni coperti di tela gialla a Giuseppe Pajroletto per lire 8.2.6
– Una tavola lunga di noce del refettorio a Domenico Cotella per lire 14.5.
– Un mortajo di pietra con pestello, e zappa di legno al Cittadino ex Cavagliere Sandigliano per lire 5.18.
– Un cumulo di legna vecchia da fuoco a Gaspare Balma per lire 6.1.
– Sei tovaglie usitate lacere da barbiere al Cittadino Carlo Gaudi per lire 1.17.6.
– Due ridò (tende) bianchi coi loro ferri a Francesco Rustichello per lire 4.4.
– Cinque salini di cristallo al Cittadino Andrea Promis per lire 2.10.
– Un coltello ed una forchetta da tavola col manico d’ebano guarniti d’argento a Gioanni Papino per lire 4.10.
– Un mantile lacero rapezzato al Cittadino Vincenzo Gibellino per lire 1.6.6.
– Settanta cinque doghe da botallo al Cittadino Mastro Gioanni Battista Rè per lire 15.1.
Il 29 aprile, nel secondo e ultimo giorno d’incanto, anche il pregiato quadro del Defendente Ferrari venne venduto e nel verbale lo troviamo descritto come “un’incona grande (venduta) al Cittadino Gioanni Fresia presidente della Municipalità di questo Commune a nome e per conto della medesima”.
Questo documento conferma in modo inoppugnabile che il quadro venne comprato da Giovanni Fresia, ma per espresso ordine del Comune, e non donato in seguito dal Fresia stesso alla Comunità, come erroneamente si legge su alcuni testi.
Quello che è anche interessante, è il prezzo di acquisto del quadro, pagato 15 lire e soldi 1, cifra che da sola dice poco, ma confrontta con le altre vendite capiamo come il valore all’epoca di questa opera d’arte fosse giudicato irrisorio, praticamente lo stesso valore di 75 doghe di legno per botti, o il prezzo di un tavolo del refettorio. Persino il girarrosto con due aspe, venduto al cittadino prete Buonfiglio Perotti valeva di più, tanto da essere pagato 34.10 lire.
Gli immobili requisiti
Naturalmente oltre al Convento vennero requisiti anche tutti i beni immobili di proprietà dei Servi di Maria, immobili che all’epoca erano rappresentati principalmente da diverse proprietà, tra cui spiccavano tre cascine: quella denominata dei Fanghi verso il Mappano, quella della Madonna dei Gerbidi e un’altra nel paese, per un totale di 258 giornate di terra, tutte affittate, che permettevano una buona rendita annuale ai frati.
Ritornando al Convento, l’edificio venne quindi consegnato in parte al Comune, e in parte alla Parrocchia per ospitare la casa parrocchiale, e nel 1806 l’ex convento, ormai diviso tra Parrocchia e sede comunale, ospitò anche la giudicatura, il tribunale e le carceri.
Dopo il periodo napoleonico, con la Restaurazione, il fabbricato tornò di proprietà dei Servi di Maria, che però decisero di non ristabilire il convento, ma di continuare ad affittare i locali al Comune che, dopo lunghe trattative, lo acquistò dai religiosi il 22 novembre 1848 per la somma di lire 15.000, con la condizione che una parte venisse data in uso alla Parrocchia.
Il 24 novembre 1850 il Comune istituì una delegazione per trattare con il Parroco Don Molinari, Arciprete di San Giovanni, per i locali da lui occupati, in quanto in quel momento riusciva impossibile all’Amministrazione Comunale l’adattamento dei locali rimasti liberi per poter raggruppare tutti gli uffici amministrativi, giudiziari, demaniali, oltre che alle carceri, ma principalmente per stabilirvi le scuole di pubblica istruzione.
Anche qui dopo lunghe trattative finalmente il 21 dicembre 1856 si giunse a un accordo con la stipula di un atto in cui veniva definita la parte di fabbricato destinata alla Parrocchia e la realizzazione di tutta una serie di opere per separare definitivamente le due porzioni, come la chiusura in muratura verso l’antico chiostro, rimasto alla Parrocchia, delle due ali est e sud del porticato.
Così il complesso ospitò anche la scuola elementare, con due classi maschili al primo piano per 140 posti, e due aule per le classi femminili al piano terra per 130 posti, con ingresso da Via delle Scuole, ora via Fabbri, fino al 1887, quando venne inaugurata la nuova scuola di Via Guibert, ancora oggi esistente.
Dopo che la proprietà diventò del Comune, l’edificio fu oggetto di numerosi e continui lavori di manutenzione straordinaria per mantenerne l’integrità, come quelli effettuati nel 1851, sia per riparare il tetto che per “riparare le fondamenta e il muro volgente a mattina che si trova in pessimo stato e minacciante rovina”.
Tutta un’altra serie di opere vennero effettuate per adattare i locali secondo le necessità, come la chiusura della tettoia nel cortile rustico per adattarla a deposito per i mezzi dei Vigili del Fuoco, avvenuta nel 1864.
Foto 1 – L’antico chiostro, ora cortile della casa parrocchiale
foto 2 – Il locale del refettorio dove era appesa la Madonna del Popolo
foto 3 – La Madonna del Popolo del Defendente Ferrari
foto 4 – Disegno settecentesco del convento
foto 5 – Il documento d’incanto del quadro del Defendente