“Tanti auguri, buon compleanno!”
“ Grazie di cuore a tutti!”
Con qualche altra frase di circostanza si completa la risposta e già si pensa che domani, con un semplice clic sul telefonino altre persone saranno destinatarie di altrettanto gradevole moderna consuetudine.
Poi un messaggio diverso da tutti gli altri cattura l’ attenzione: “Tanti auguri, coscritto!”, ed è l’affettuoso pensiero di un coetaneo. Immediato è il sapore antico e nuovo dell’emozione che sembra impadronirsi di me per tutta la giornata mentre davanti agli occhi scorre l’ormai lungo percorso di vita iniziato quando bambini della stessa età ci siamo ritrovati addosso i quadretti bianchi e blu, o il fiocco dello stesso colore sul grembiulino nero della prima divisa scolastica.
Ma al di là dell’uso poco frequente di questo termine, qual è il significato vero dell’essere coscritti ?
Per rintracciarlo è necessario andare molto indietro nel tempo, all’epoca del reclutamento o coscrizione militare, ormai tramontati per sempre, quando a causa delle svariate necessità della patria era pressoché normale che in quanto giovani e arruolabili, iscritti nei registri comunali di allora, molti nuovi maggiorenni, in virtù dei capricci della sorte, per qualche anno vestissero una divisa da soldato.
Il reclutamento avveniva infatti attraverso il sorteggio di un numero. Estrarne uno alto significava rimanere a casa.
Poiché il mondo, in particolare per le sue leggi non scritte, non è mai cambiato chissà a quanti ragazzi poveri il sistema di allora ha “ aggiustato” una pericolosa estrazione e cucito addosso l’uniforme di un altro.
“Tirare il numero” era perciò un momento importante nella vita dei giovani tanto che questa procedura seppur da tempo superata è sopravvissuta anche nei modi di dire della lingua piemontese. E che avessero appena “tirato il numero” lo sostenevano a gran voce per le strade di Caselle, ignorando quasi sicuramente l’origine della loro affermazione, i coscritti degli ultimi Anni Cinquanta che ragazzino, ricordo di aver sentito e visto, agghindati di tutto punto con cappello a bustina, foulard decorato e altri accessori rigorosamente tricolori tutti recanti la stessa classe di nascita, ovviamente di ferro. Erano, in effetti, reduci dal distretto militare provinciale dove sfilando in abiti succinti al cospetto di una speciale commissione medica avevano ricevuto il lasciapassare per i futuri diciotto mesi in divisa, oppure l’invito a tornare il prossimo anno magari con qualche battito in meno del cuore o qualche centimetro in più del torace. Per alcuni giorni Caselle sembrava appartenere ai coscritti. Esaurito il tradizionale impegno religioso ristoranti e bar, tranne il caffè Ghi che pareva non gradire quella occasionale confusione, diventavano tappe obbligate di un percorso cittadino ripetuto senza soste, in cui il frequente arresto presso il bar Garibaldi significava per Maria e Michele la necessità di prodigarsi perché il vino, alleato inseparabile di tempi economicamente non esaltanti, potesse confortare e sorreggere una festa che il suono alquanto discordante di fisarmonica e clarino, al seguito del gruppo, tentava di allietare accompagnando i chiassosi apprezzamenti che i coscritti indirizzavano a sé stessi, al loro anno di nascita, nonché alla gratuita pubblicità di personali presunte intime virtù, palesemente poco apprezzate dai nostri attenti due parroci. Poi a conclusione della festa, in cui qualcuno aveva creduto ancora di aver “tirato il numero” e ultimato, ovviamente senza successo, da parte dei giovanotti più audaci l’immancabile escursione serale lungo il viale Bona all’uscita del turno di lavoro, cappello e foulard insieme agli altri accessori, piegati con cura, sono finiti in un cassetto.
“L’anno prossimo, o fra qualche anno, toccherà ad altri coscritti”. Così pensavo, finché a metà degli Anni Sessanta è toccato a noi, alla nostra classe. Abbiamo indossato per qualche giorno di febbraio il rituale abbigliamento di seta colorata e attraversato più volte senza eccessivi schiamazzi le vie di una Caselle a cui il nuovo impulso edilizio dilatava ogni giorno gli antichi confini. Ci siamo ritrovati intorno ai tavoli della Caccia Reale di Notu Suc, o di altri locali pubblici, a rivivere l’emozione di un evento straordinario mentre, evocando il ricordo di quando si “tirava il numero” , in mezzo a noi già si affacciava l’immagine di un futuro cappello d’alpino, oppure , finalmente liberi di fumare anche davanti a genitori e parenti importanti, ci raccontavamo chi nel frattempo eravamo diventati o ci apprestavamo a diventare lasciata la vecchia scuola elementare.
Poi dopo alcuni giorni di festa, compreso l’infruttuoso tentativo di qualche coscritto desideroso di appagare la propria curiosità presso noti corsi cittadini, quei serici simboli, testimoni dell’ennesima “classe di ferro”, e soprattutto di una primavera sfuggita per sempre, piegati con cura, sono finiti in un cassetto.
Di nuovo tanti auguri,… coscritto!
Quando si “Tirava il numero”
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