“Noi siamo gli invisibili necessari.” Con queste parole, Gianna, una ragazza sulla trentina, colta e gentile, inizia a parlarmi del suo lavoro.
Siamo seduti in un pub di via alle Fabbriche. Lei, tranquilla, con una birra bionda fresca tra le mani. Il discorso nato, come spesso accade, per caso:
“ Ciao, posso sedermi e chiederti come ti chiami? “
Anche lei aveva voglia di scambiare due chiacchiere.
“Mi chiamo Gianna, sono un’OSS, operatore socio-sanitario. Come ti ho detto, siamo… gli invisibili necessari.”
“Spiegami, cosa significa?”
“Hai presente i lombrichi? Sappiamo che esistono, ma li vediamo raramente. Eppure, senza di loro, non ci sarebbe la fertilità dei terreni. Sono invisibili, ma indispensabili. Ecco, noi siamo come i lombrichi.”
“Va bene, ma chiariscimi meglio questo concetto e spiegami cosa c’entra con il tuo lavoro. Sono interessato a capire. Parla pure in libertà, intanto prendo qualche appunto.”
“D’accordo. Io sono un’operatrice socio-sanitaria e lavoro in una comunità alloggio di Torino. Siamo una dozzina, per lo più donne. Ci occupiamo 24 ore su 24 dei nostri ospiti.
I ‘ragazzi’, come li chiamiamo noi, sono persone adulte con handicap psico-fisici gravi, presenti fin dalla nascita. Hanno pochissime autonomie, se non in minima parte. Per loro la comunità è una casa, non un ospedale, e noi li accudiamo in tutto. Li assistiamo dal risveglio: li laviamo, cuciniamo per loro, ci occupiamo delle pulizie e svolgiamo tutte le attività necessarie. Questo ogni giorno, festivi inclusi. Il nostro obiettivo è garantire loro una vita decorosa e, quando possibile, normale e sociale.
Inoltre, dobbiamo fare in modo che non perdano le poche abilità residue. Questo è fondamentale per evitare che si chiudano in sé stessi, come automi. Stimolare le loro capacità mentali e migliorare l’autostima è parte integrante del nostro lavoro.”
“Capisco, non è un lavoro che tutti possono fare. Occorre una certa predisposizione, giusto?”
“Esatto. Devi avere una naturale predisposizione alla socialità e una profonda empatia, anche verso chi potrebbe suscitare disagio in altre persone. È indispensabile una formazione adeguata: ci sono corsi specifici promossi dalla Regione. Non ci si può improvvisare.
Il nostro compito non è solo accudire, ma garantire una vita stimolante, non statica. Per questo, ogni giorno organizziamo attività manuali, uscite, gite. Nessuna meta è esclusa, anche se a volte i ragazzi preferirebbero restare nella loro routine. Sta a noi motivarli, per evitare la sedentarietà.
Li portiamo persino a fare colazione al bar o la spesa, cercando di frequentare gli stessi negozi per dar loro punti di riferimento. Gli esercenti conoscono i ragazzi e la loro situazione, quindi non ci sono problemi. In ogni attività, siamo sempre presenti, perché loro non possono autogestirsi.
Una volta all’anno, li accompagniamo in vacanza al mare o in montagna. Per noi operatori è una fatica enorme, ma necessaria per offrire loro un’evasione dalla routine. Detto questo, i ragazzi amano tornare nella loro casa: il loro ambiente abituale li tranquillizza.”
“E quando, durante queste attività, incontrate gruppi di persone, queste come reagiscono?”
“In questi casi le reazioni sono due. C’è chi accoglie i ragazzi con calore e ci elogia, pensando che siamo volontari. Poi ci sono quelli che mostrano repulsione.
Devo chiarire che questo lavoro non può essere svolto da volontari. La continuità e le competenze sono fondamentali. Noi siamo professionisti, regolarmente assunti e stipendiati, spesso tramite cooperative. Oltre agli OSS, ci sono anche educatori. È importante sfatare un mito: chi lavora in organizzazioni sociali, nel soccorso in mare o in ambito medico, non è quasi mai un volontario, ma un professionista con elevate capacità.”
“Come vivono i ragazzi il rapporto con le loro famiglie?”
“I ragazzi vivono bene nella casa famiglia e mantengono un forte legame con i genitori. La domenica o durante le festività, alcuni tornano a casa e lo fanno con entusiasmo. Curare questi rapporti è fondamentale.
Dal punto di vista evolutivo, sono rimasti a uno stadio infantile: si entusiasmano facilmente, sono vivaci, a volte iperattivi, e dobbiamo spesso calmarli.”
“Immagino ci siano anche momenti tristi, come quando un ragazzo viene a mancare.”
“Sì, purtroppo capita. Recentemente abbiamo perso una ragazza che era con noi da pochi mesi. Veniva da una situazione molto difficile: aveva solo un padre anziano e inabile ad accudirla. Qui aveva trovato un po’ di serenità, e la sua scomparsa ci ha colpiti profondamente. Quel giorno, i ragazzi sono rimasti in silenzio.”
“Da quello che dici, mi sembra che il vostro lavoro restituisca dignità e umanità a queste persone.”
“Esatto. Se vivessero isolati nelle loro case, passerebbero le giornate davanti alla TV. Da noi, invece, conducono una vita normale, con stimoli e relazioni.
La società del benessere e dell’arrivismo preferisce ignorarli, perché non producono profitti né consumano in modo compulsivo. Noi, invece, generiamo umanità e dignità.”
“E ti pare poco? È tantissimo. Grazie, Gianna. Il prossimo giro però lo offro io.”
Gli invisibili necessari
La vita silente e preziosa degli Operatori Socio Sanitari
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