Nei mesi precedenti abbiamo visto come l’occupazione napoleonica influì sul nostro territorio, ma anche un secolo prima i danni provocati dai Francesi durante il famoso assedio di Torino non furono pochi. Con la morte dell’Imperatore Carlo II infatti iniziò una lunga guerra per i diritti di successione alla corona di Spagna, che rimise in discussione tutto il lavoro diplomatico dei decenni precedenti.
Il nostro duca Vittorio Amedeo II, preoccupato dell’ingerenza francese, decise di cambiare nuovamente fronte e si alleò con gli angloasburgici, prima nemici, dichiarando guerra alla Francia il 24 ottobre 1703.
Col rovesciamento dell’alleanza, Luigi XIV decise così di conquistare lo stato sabaudo. Nel maggio del 1706 l’esercito francese iniziò l’assedio di Torino pensando di conquistarla rapidamente, ma la città, ben difesa dalla nuove fortificazioni, resistette fino all’arrivo del duca sabaudo, accompagnato dall’esercito alleato, comandato dal cugino Eugenio di Savoia che riuscì a sconfiggere gli assedianti d’oltralpe.
Purtroppo le conseguenze della cosiddetta guerra di “successione spagnola” furono pesanti per tutto il territorio del basso Canavese; soprattutto nell’anno precedente l’assedio si vide sul nostro territorio un susseguirsi di saccheggi da parte delle truppe francesi.
Le vicende militari
A partire dall’estate del 1704 venne messa in atto l’invasione del Piemonte da tutti i fronti, e in giugno l’esercito francese, comandato dal duca de la Feuillade, dopo aver occupato la Savoia, passò le Alpi dal Moncenisio conquistando Susa e le vallate circostanti, ottenendo la resa di Pinerolo.
Intanto le truppe del duca di Vendôme, unitesi con altre forze francesi giunte dal Piccolo San Bernardo, occuparono rapidamente Ivrea e la Valle d’Aosta interrompendo tutte le comunicazioni con la Svizzera.
Per tutto l’inverno il Piemonte occupato subì le scorrerie dei soldati francesi che misero a dura prova la possibilità di sopravvivenza nelle campagne.
La sistematica occupazione del territorio sabaudo iniziò ad arrestarsi con l’assedio di Verrua, la cui inaspettata resistenza, che provocò la perdita di ben 12.000 uomini dell’esercito francese, ritardò oltremisura l’attacco a Torino che trovò un nuovo ostacolo nelle fortificazioni di Chivasso, espugnata solo nel luglio del 1705.
Per rinforzare le truppe di Vendôme nell’assedio di Chivasso, giunsero in rinforzo dalla Lombardia una dozzina di battaglioni condotti dal duca di La Feuillade.
L’esercito francese, comandato dal maresciallo Vendôme, si ricongiunse poi con l’esercito del generale Louis d’Aubusson de la Feuillade, che già dall’8 agosto era accampato a Venaria Reale bloccando la città in attesa dell’artiglieria.
Nel settembre La Feuillade tenne Torino sotto un fuoco continuo di cannoni e di mortai per sei giorni consecutivi, senza riuscire a scalfire le ottime difese della città.
Nel mese di ottobre i generali francesi decisero quindi di ritirarsi per rimandare l’attacco a Torino all’anno successivo per permettere loro di riorganizzare e ripianare le perdite dell’armata franco-spagnola stremata dai combattimenti e, contemporaneamente, procurarsi nuovi mezzi per l’assedio, anche in considerazione che il sopraggiungere della stagione invernale avrebbe reso più difficili tutti i movimenti.
I saccheggi francesi
Le truppe francesi, per i loro collegamenti a nord di Torino, utilizzavano normalmente la strada che dalla valle di Susa, passando per Casellette e Lanzo, raggiungeva Volpiano e Chivasso.
Proprio per intercettare e fermare i soldati francesi, ai primi di luglio, venne inviato un drappello da Torino composto da soldati della cavalleria sabauda e germanica, ai comandi del generale Martini, che il 6 luglio si accampò tra Mathi e Balangero nella regione Cassinetti.
Col sopraggiungere delle truppe francesi, il generale Martini capì subito l’inferiorità numerica delle sue truppe e così, per evitare uno scontro perso in partenza, decise di ritirarsi nella capitale, non prima però di aver provocato molti danni ai terreni calpestati della zona, senza contare il “maggengo” non ancora tagliato e interamente consumato dai suoi cavalli.
Intanto le truppe francesi, al comando del duca de La Feuillade, arrivarono da Susa attraversando la Stura sul ponte del Rocco (il “ponte del diavolo”) raggiungendo Lanzo l’8 luglio.
L’armata francese non entrò in paese, ma giunti a Balangero i soldati, dalla sera e fino a notte inoltrata, saccheggiarono tutto il territorio, dal paese alla frazione di Cafasse, come riportano i documenti dell’epoca: “ … questi esportarsi magior parte de denari, lingerie, vestimento, mobili, et effetti più liquidi, grani e vetovaglie, con rotture delle porte delle case, e stanze, guastati con dispersione di bestiami cioè mule, vache, bovi, et altre lanute e da piuma domestiche con haver ridotto li medesimi particolari in estrema miseria, stanze massime l’uccisione fatta da detti nemici et altre ferite gravemente …“.
Balangero subì la stessa sorte toccata a Ciriè il giorno prima, dove al calar della sera del 7 luglio 1705 un distaccamento francese, proveniente dalla Vauda di Ciriè e agli ordini del generale D’Estaing, si fece aprire le porte delle mura assicurando che non sarebbero stati causati danni.
Ma mentre la comunità ciriacese si adoperava per ospitare gli ufficiali nelle case migliori, i soldati iniziarono a saccheggiare le chiese e le case “… aperti li tabernacoli et l’istesse sepolture, rotti li reliquari e statue della Vergine, spogliati li religiosi fra risate e indecenze, violate vergini e donne, abruciate tre case in una delle quali è stata abruciatta una piccola figlia, uccisi diversi particolari …”, il tutto durò dalla sera del 7 al tardo pomeriggio dell’8 luglio.
Questa tragica sorte, toccata a molti altri paesi della zona, erano le “classiche” ventiquattro ore di saccheggio, previste e autorizzate dal diritto di guerra, vigente fino ai tempi di Napoleone, per le città nemiche che non opponevano resistenza ma che non si arrendevano in anticipo a determinate condizioni, diritto che concedeva ai soldati di portar via tutto, salva solo la vita di chi non si opponeva.
L’alto numero di saccheggi compiuti dalle truppe francesi nell’estate del 1705 aveva lo scopo non solo di alzare il morale dei soldati, già duramente provati da anni di guerra, e di dargli un guadagno supplementare, ma anche di radunare grandi quantità di viveri e animali in prospettiva del grande assedio di Torino che si stava preparando per il 1706.
Lo storico ottocentesco Bertolotti, nel suo libro i “Fasti Canavesani”, ricorda i saccheggi: “… La Feuillade, comandante dei Francesi all’assedio di Torino accampatosi alla Venaria, manda un distaccamento a saccheggiare Ciriè, San Gillio, Druent, Nole, Mathi, San Morizio, San Carlo, San Francesco al Campo, Front e poscia Favria, Oglianico, Lusigliè ed Agliè, nelle quali terre si commettono nefandità atroci.”
A Caselle i francesi si accamparono in prossimità della Cappella della Madonna del Pilone, posta lungo la strada per Ciriè, dove si diramava una strada che attraverso un guado sulla Stura raggiungeva Venaria; proprio in questa chiesetta nel 1706 venne realizzato un grande affresco che rappresenta la strage degli innocenti a memoria e ringraziamento per la fine della guerra, probabilmente ispirandosi e in ricordando dei continui saccheggi delle truppe francesi.
Il saccheggio di Balangero nei documenti dell’epoca
Un documento d’archivio dal titolo “Atti di ricognizione del 6 febbraio 1706, per stabilire i danni subiti nel saccheggio”, si possono evincere numerosi particolari che permettono di capire meglio gli eventi accaduti quella notte.
Uno dei primi edifici saccheggiati fu ovviamente il castello di proprietà del marchese di S.Giorgio, e allora tenuto in affitto da Giuseppe Pastoris di San Maurizio: “… come si vede la porta grande di esso castello esser stata forzata con escavazione del police inferiore di una parte di essa et che l’uscio della cucina si vede rotto e messo a pezzi, quello della sala parimenti forzatto e rotti li crocchi che questi tenevano serrato come altresì quelli delle stanze al primo e secondo piano si vedono parimenti con parti forzati in parte rotti …”.
Altri saccheggiatori devastarono la vicina casa parrocchiale: “Più transferto alla casa della prevostura si concedono testimoniali della rotura d’un coffano in essa cioè nella sala esistente et di una porta d’una guardarobba che il sig Don Giovanni Boris Prevosto della Parrochiale … in oltre esser stato asportato da detta casa e chiesa tutte le lingerie, vestimenta, lenzuoli, mantili parte propri e parte indivisi con il sig. Marco suo fratello et ad uso luoro rispetivi domestici come pure abstorto una mula, vache e vitelli et oltre questi un rubbo12 circa di setta, cuchiary e forcelline d’argento, stagni, copperte, fieni, salami, lardi, formagi, galline, et altre robbe commestibili di valore in tutto di lire 1.600”.
Neppure la chiesa parrocchiale venne risparmiata: “Più entratti nella chiesa parochiale … vedersi il cassiotto esistente nel pillastro attiguo al vaso della acqua benedetta in cui cassiotto è solito come detto sig. Prevosto afferma riporsi l’elemosina che si fanno all’anime del purgatorio esser stato rotto, et da quello esser stato asportato li denari che ivi si trovavano, come altresì esser state evacuate le guardarobbe esistenti nella sacrestia della cera biancha che ivi si ritrovava propria della Confraternita dei Santissimi Corpo del Rosario Suffragio e dottrina Cristiana come pure esser stato asportato il manto di tela d’argento della Madonna del Rosario …”.
Il saccheggio della chiesa fu sicuramente il più proficuo per i soldati, questo perché la popolazione, per salvare qualcosa, aveva rifugiato molti dei loro beni proprio all’interno delle sacre mura, nella vana speranza che l’esercito non osasse depredarla.
Numerosi testimoniali attestano la perdita dei beni rifugiati nella chiesa, come quella di Gaspare Perino “...diverse vestimenta si da uomo che da donna, lingerie di ogni sorte, e denari che haveva reffugiati pure nella parochiale…”.
Altri balangeresi tentarono di salvarsi portando i loro beni sulla montagna, ma i soldati non si fecero certo pregare per cercarli: “...Più alla casa di Giovanni fu Giorgio Bò ove il medesimo afferma come essersi stato abdotto un mulo, quattro vache, diverse lingerie e mobili che haveva reffugiati al piè della detta montagna di San Vittore di valore di lire 850 incluse lire 100 di contanti ove fu lui spogliatto interamente delle vestimenta che haveva indosso”.
I beni razziati erano dei più disparati, dal denaro ai preziosi, ai vestiti, alle derrate, agli animali e così via, come nella casa di don Giovanni Antonio Viviani “...asportatto diversi anelli d’oro, dorici, granatte et altre gioie, coperte di cattalogna, tele, linsuoli, vestimenta et altre lingerie di valore in tutto di lire mille e più che haveva parte reffugiato nella chiesa parochiale, parte in detta casa vedendosi pur ivi tre cofani rotti …”.
E così alla casa del Reverendo Don Giovanni Battista Copperi e di suo fratello, il notaio Domenico, affermano “… essergli statte tolte ed esportate liure tre milla di contanti tra Luiggi d’oro, Filippi et altro argento, con più diverse vestimenta cioè mantelli da uomo, et altri da donna, chuciari e forcelline d’argento e d’otone, bevutti e dispersi quantità di vino, oglio di oliva e di noce, che non sanno la quantità precisa, abdotte due vache et una vitella …”.
Anche la cappella di San Rocco fu saccheggiata, dove i soldati, oltre a portar via gli oggetti di valore, dispersero in parte l’archivio comunale che veniva conservato in questa chiesa: “indi trasferti nella Capella di San Rocho et oratorio della Confraternita di Santa Croce attigua alla piazza e casa di detto sig. Coppery ove si concedono testi indursi un’archa grande di noce vechia col coperto rotto in quattro parti in cui si vedono diverse scritture spettanti alla Comunità del presente luogo qual ora detto sig. Domenico Coppery secretaro e m. Facio Fumello sindico affermano esser l’unico archivio in cui detta Comunità è solita di reporre le sue scritture, de quali se ne vede ora puoca quantità, se ben non puono sapere se ne manchi e ne sii state esportate, o non ne quali ne quante”.
Interessante la testimonianza del già citato Don Giovanni Enrico Bertino che, nascostosi nella cappella di San Rocco, assistette a tutto il saccheggio: “… buona parte de soldati di questi nel presente luogo ove, et circa le hore dieci otto et sino circa ad ben hora di notte sachegiarono …. le case e chiesa del medesimo senza perdonarla neppure agli eclesiastici, per il che pur io costretto abandonar la casa di mia habitazione, et ritirandomi nella sacrestia della Capella di San Rocho Oratorio de Confratelli di Santa Croce da dove sentivo far gran strepiti di soldati tanto a cavallo che a piedi abattendo dappertutto le porte et nelle case li coffani e guardarobbe come pure quelle della Chiesa Parochiale, …. come puoi viddi asportar diverse altre robbe de particolari e comuni de confratelli et da ivi sentii sparare un’arma da fuoco avanti la porta delli sig. fratelli Coppery …. viddi esser il cadavere del fu sig. Cristoforo Coppery speziale … qual era stato ucciso da detti francesi con colpo d’arma da fuoco che ancor haveva il fuoco che gli abbruciava li panni indosso …”
Insieme al detto Cristoforo Coppery, quella notte furono anche uccisi Giovanni Battista Merlino, Pietro Rubatto, Michele Foglietto e Antonio Clerico, mentre venne ferito gravemente Pietro di Domenico Cardone che restò storpio.
Anche la testimonianza di Pietro Michele Maffey, venticinquenne di Leinì che frequentava la scuola di don Bertino, conferma gli avvenimenti “… circa le hore dieci otto nel presente luogo di Ballangero parte a cavallo e parte a piedi, et prima li fanti e puoi li cavaglieri li quali sachegiarono il presente luogo, … il che mise li particolari in timore tale che abbandonarono le loro case et havendo alcuni di questi tradotti loro mobili e condotti diversi loro bestiami cioè muli, vache et altri ne monti ivi vicini gionsero in essi quantità di essi soldati, qual seguitando detti particolari li levarono detti mobili e bestiami, spogliarono et offesero detti huomini talmente che lasciarono questo povero luogo et habitanti in grandissimo timore e miseria …”
Oltre al castello, alla casa parrocchiale e alle due chiese, in totale le case saccheggiate furono 151, di cui 24 poste nella frazione delle Cafasse, che allora faceva ancora parte del territorio di Balangero, per un danno totale stimato di 32.264 lire dell’epoca (o lire 33.254 secondo un altro documento).
Questo interessante documento, anche se localizzato per Balangero, ben illustra come all’epoca l’esercito francese devastò e saccheggiò il territorio del basso Canavese, terrorizzando la popolazione, requisendo grandi quantità di animali, vettovaglie e ricchezze, in preparazione dell’assedio di Torino dell’anno successivo.