Marzo è il mese della donna; in particolare il giorno 8, dovrebbe essere dedicato alla donna lavoratrice, per ricordare le lotte sociali e politiche che le donne hanno dovuto affrontare per avere un ruolo nella società, per ottenere gli stessi diritti del genere maschile. Se oggi, in alcuni Paesi, molte donne possono ambire ai massimi livelli d’istruzione, votare, lavorare ed essere indipendenti, è proprio grazie alle ribellioni che altre donne, in passato, hanno portato avanti per spezzare assurde tradizioni che le volevano succubi del padre, dei fratelli, del marito; modelli sociali e culturali in cui non si riconoscono più. La giornata internazionale della donna, si festeggia ovunque. Quella data è stata fissata per ricordare un avvenimento tragico. Nel 1908, un gruppo di operaie di una industria tessile di New York, scioperò contro le terribili condizioni in cui erano costrette a lavorare. Lo sciopero andò avanti per giorni, fino a quando, appunto l’8 marzo, i proprietari dell’azienda bloccarono le porte della fabbrica, impedendo alle operaie di uscire. Purtroppo scoppiò un incendio, e ben 129 donne morirono per le ustioni. Tra queste anche alcune italiane, emigrate per cercare di migliorare la propria condizione di vita. Dedicare, un pensiero a tutte le donne che svolgono un’attività lavorativa, più una serie infinita di altre incombenze, è più che dovuto, ma non solo in quel giorno. Purtroppo, raggiungere un buon livello di cultura, di autonomia, di rispetto e di dignità è ancora tutt’oggi, una meta irraggiungibile per molte donne nel mondo. Ad esempio in Iran, all’indomani della rivolta “Donna, Vita, Libertà” del 2022, le autorità hanno intensificato la loro azione repressiva contro le donne e le ragazze, che sfidavano l’obbligo di indossare il velo. I diritti umani violati, nei confronti del gentil sesso, sono ancora materia molto attuale in questi Paesi, cosiddetti arretrati, ma non solo in questi. Al confine tra USA e Messico le politiche di tolleranza zero verso i rifugiati, hanno avuto gravissime ripercussioni sulle donne che cercavano protezione; molte delle quali sono state separate dal coniuge, in applicazione di norme che violano il diritto internazionale. In ogni parte del mondo, Italia inclusa, gli episodi di violenza perpetrati a loro danno sono oggetto di cronaca quotidiana. La paura dello sconosciuto nasce da sentimenti di vulnerabilità e impotenza. Ma, se vogliamo guardare in faccia la realtà, le cronache ci dicono che il pericolo viene più dagli uomini conosciuti che non dagli estranei; dai familiari, compagni o mariti, amici, colleghi e datori di lavoro. Ma anche le situazioni che sembrano lontane da noi ci dovrebbero interessare e non è sufficiente né risolutivo indignarsi; occorre fare qualcosa. Amnesty International, dal 1961 è attiva in questo campo; ha lanciato da tempo la campagna “mai più violenza sulle donne”, per portare all’attenzione una delle violazioni dei diritti umani più diffusa e occultata nel mondo. Amnesty, a cui mi onore di appartenere come attivista e come responsabile del gruppo locale, si occupa di casi concreti, accertando gli abusi con accuratezza e tempestività. Si mobilita facendo pressione su governi e su altri soggetti allo scopo di porre fine a questi abusi, richiamando gli Stati al rispetto degli impegni assunti nell’ambito delle Nazioni Unite. Opera per portare solidarietà a tutte le donne vittime di esperienze devastanti, aiutandole nel guardare al proprio futuro con maggiore fiducia e speranza. Se si accede al sito www.amnesty.it si può verificare quanti sono i casi di donne, in questo specifico momento, di cui Amnesty si sta mobilitando. Ad esempio: Amnesty ha esortato le autorità saudite a fare immediatamente chiarezza sulla situazione e sul luogo di detenzione di una donna di 30 anni, Manahel al-Otaibi, vittima di sparizione forzata da quasi due mesi, che stava scontando una condanna a 11 anni di carcere, per aver promosso i diritti delle donne. Nello stesso Paese, Salma al-Shehab, 36 anni, dottoranda presso l’università di Leeds, è stata finalmente scarcerata, dopo aver trascorso quattro anni in prigione, per aver postato tweet in favore dei diritti delle donne. Era stata accusata di vari reati, tra i quali “disturbo all’ordine pubblico”. Oggi, 20 febbraio, Şebnem Korur Fincancı, una delle massime autorità turche in materia di medicina legale, assai nota nella comunità scientifica internazionale, è stata finalmente assolta dall’accusa di aver “denigrato lo stato turco”. Era in carcere, solo per aver espresso solidarietà nei confronti di un organo di stampa che aveva una linea editoriale critica nei confronti del governo turco. Quindi essere a favore dei diritti delle donne si disturba l’ordine pubblico, si denigra lo Stato, in Paesi in cui le loro massime autorità vengono rispettate, e invitate con tutti gli onori dalle nostre, e non solo. Altro che “mondo al contrario”.
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