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sabato, Giugno 21, 2025

    Francesco

    Adesso che la fine è giunta, stiamo cercando un nuovo inizio. E non è facile.
    Sapevamo d’amarlo, ma non così tanto. Sapevamo che prima o poi sarebbe successo, ma non pensavamo che la sua assenza avrebbe potuto pesare in questo modo.
    Capovolgendo i versi di Battiato: è nato da meccaniche divine questo sentimento popolare che continua ad avvolgere ed ammantare Francesco?
    E dire che fin dal suo apparire Bergoglio è stato un Papa controverso: immediatamente amato anche dai cuori laici, capaci di trovare nel suo verbo
    – così semplice, così immediato, così diretto – comunque una sponda; immediatamente contestato dai più conservatori per quel suo modo “pop” di interpretare il magistero e il nuovo ruolo, quel suo essere così “poco pontefice”, sideralmente lontano dagli attici alla cardinal Bertone e a un certo modo e mondo di troppo soglio romano.
    Immediatamente è stato amato dal popolo proprio perché in antitesi con quello di cui sopra.
    Profondamente piemontese, grazie alla cultura inculcatagli dalla nonna Rosa, tanto da riconoscersi sempre nei versi iniziali della poesia di Nino Costa “Rassa nostrana” – Drit e sincer, cosa ch’a sun, a smijo: teste quadre, puls ferm e fìdic san/ a parlo poc ma a san cosa ch’a diso/
    bele ch’a marcio adasi, a van luntan ( Schiena dritta e sinceri, sono ciò che sembrano: testardi, polso fermo e grande fegato/ parlano poco ma sanno cosa dicono/ anche se camminano piano, sanno arrivare lontano) -, Jorge Bergoglio ha saputo innestare nel suo modo d’essere ancora monferrino quello spirito combattivo argentino (“ la garra”) per diventare e restare un prete “callejero”, un sacerdote di strada, sempre dalla parte degli ultimi e dei più bisognosi.
    Una delle domande più stupide sentite e ripetute mille volte nelle settimane scorse è stata quella di chiedersi se Francesco sia stato di destra o di sinistra. Né l’uno, né l’altro: Francesco semplicemente è stato un Papa fedele alla parola del Vangelo, fedele all’azione dell’apostolato, fedele ai quattro voti che i gesuiti devono pronunciare: povertà, castità, obbedienza e fedeltà al ruolo del Pontefice, rinuncia ai beni temporali.
    E che sia stato un gesuita sempre ed esemplare, su questo non ci sono dubbi. Non il “ papa nero” delle narrazioni, ma un membro ferreo del dettato della Compagnia di Gesù senz’altro sì.
    E il conclave che lo elesse sapeva bene a cosa sarebbe andato incontro. Del resto l’eclatante gesto di Benedetto XVI, la sua rinuncia al soglio pontificio, aveva squarciato più d’un velo, mostrando una chiesa scandalosamente vittima degli abusi e degli abusi della finanza, troppo lontana dagli esempi dettati da Cristo.
    E lì, vicino alla parola di Gesù, Papa Francesco ha lavorato perché ci tornassimo. A volte c’è riuscito a volte no, ma ogni giorno della sua vita terrena è stato comunque e unicamente speso per diffondere il verbo più rivoluzionario e sconcertante che ci sia: quello del Vangelo.
    Via da subito gli orpelli, i crocefissi d’ oro, le scarpe rosse di Prada, gli appartamenti regali, le auto di rappresentanza, sostituendo il tutto col suo modo d’essere “ callejero”. Sempre e in ogni circostanza.
    Fin dal nome che s’era scelto: Francesco. Bastò la dichiarazione di quel nome per capire gli intenti e che Chiesa avremmo avuto da lì a venire.
    La bonomia di quel discorso fatto all’imbrunire in una Roma che accoglieva l’inizio del suo pontificato, quel suo: “ Fratelli e sorelle, buonasera. Voi sapete che il dovere del Conclave era di dare un vescovo a Roma. Sembra che i miei fratelli cardinali sono andati a prenderlo quasi alla fine del mondo…”, ce lo fece amare subito. Subito capimmo che avremmo avuto un padre, un padre capace di capirci e supportarci.
    E avremmo ulteriormente capito guardando al suo motto: “ Miserando et eligendo”, “Guardò con misericordia e lo scelse”, perché giungesse chiaro il messaggio d’un Dio misericordioso che sa sempre accogliere e perdonare.
    Da lì, di ramo in ramo, Francesco ha preso a stupirci, scacciando i nuovi mercanti dal tempio ( citofonare “ Becciu”, per meglio comprendere), sarebbe stato sempre vicino alle moderne Maddalene, avrebbe cercato di arginare i dissidi interni porgendo ( ma non proprio) l’altra guancia, stando sempre dalla parte dei deboli, degli ultimi.
    Anche se inascoltato è stato l’unico tra i potenti a ergersi in questo tempo malato contro la follia della guerra, a battersi perché non si ricorresse al riarmo come medicina per trovare la pace, a denunciare il massacro continuo di Gaza e i crimini perpetrati in Ucraina.
    Come non ricordare le sue battaglie perché si tornasse “ad avere cura del creato”, o contro la “cultura dello scarto”: le parole di Francesco sono state luce contro l’oppressione del buio.
    La sua è stata una Chiesa aperta, capace di accogliere e di non giudicare, a costo persino di non essere compresa.
    Si è donato sino all’ultimo, con un’umanità che ha colpito e saputo conquistare anche i cuori più laici: ricordate il carteggio con Eugenio Scalfari? Quando mai un Papa aveva osato tanto?
    Ma la strada di Francesco è stata questa, sia nel visitare e nel raggiungere gli angoli più remoti, sia nel voler dialogare con credo e opinioni distanti.
    Mai rinunciando a dire la verità, anche se scomoda. Chi mai si sarebbe sognato d’andare davanti al conservatorismo del senato americano per ricordare che sia lui che quelli seduti negli scranni erano eredi di migranti, proprio come quelli che troppo Occidente non si dà pena di scacciare?
    Chissà come avrebbe accolto le decine e decine di farisei accorsi al suo funerale, ipocriti senza vergogna che dopo averlo avversato in tutti i modi possibili, ora ossequiosi, mostravano ampi cenni di assenso ogniqualvolta nell’omelia del cardinale Re veniva ricordato un edificante tratto della sua vita e del suo pontificato?
    Meglio godersi il miracolo di Trump e Zelensky riuniti a mo’ di confessionale e tutta quella gente, la sua gente, lungo il percorso venuta a salutarlo per l’ultima volta.
    Forse solo Giovanni XXIII è stato così amato dal popolo, così rimpianto. Se Papa Roncalli ha lasciato il segno volendo rimodernizzare la Chiesa romana tramite il Concilio Vaticano II, Francesco, ponendo domande e provocazioni, ha tracciato un percorso che non può più venire meno.
    La sempre più marcata secolarizzazione della società dei consumi pone il Vaticano in una situazione scomoda, ma non c’è nulla di più scomodo e rivoluzionario della lezione e della parola proposta dal Vangelo.
    Da lì è partito Papa Francesco e non si può che ripartire da lì.
    La Chiesa cattolica, proprio perché universale, ci ha prima stupito e poi abituato ad anticipare i tempi: scelse Roncalli per svecchiare un mondo che non sapeva abbandonare la Controriforma; scelse Montini per far proseguire i cambiamenti in seno al Concilio Vaticano II e per lanciare un dialogo interreligioso; l’inattesa morte di Papa Luciani spalancò le porte a Giovanni Paolo II che aprì orizzonti politici e sociali impensabili, enfatizzando la centralità della Chiesa nata dal Concilio; scelse Papa Ratzinger perché tutto il modo rotante intorno al mondo vaticano attuasse profonde riflessioni teologiche per poi, con la sua rinuncia al pontificato, aprire le porte all’epoca di Francesco.

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    Ora inizia l’era di Leone XIV. E anche questa volta la Chiesa ha saputo sorprenderci.
    Impareremo a conoscerlo col tempo, ma il nome che s’è scelto e il primo discorso hanno già detto molto.
    Leone XIII fu il Papa di “Rerum Novarum”, l’enciclica con la quale per la prima volta il cattolicesimo prese posizione e creò la moderna dottrina sociale della Chiesa: Papa Prevost seguirà nel solco del suo lontano predecessore?
    Le prime parole di Leone XIV sono state dedicate a una “ pace disarmata e disarmante”: nel segno di Francesco, mai discorso programmatico era stato così conciso e diretto. Un buon inizio.

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    Elis Calegari
    Elis Calegari
    Elis Calegari è nato a Caselle Torinese il 24 dicembre del 1952. Ha contribuito a fondare " Cose Nostre", firmandolo sin dal suo primo numero, nel marzo del '72, e, coronando un sogno, diventandone direttore responsabile nel novembre del 2004. Iscritto all' Ordine dei Giornalisti dal 1989, scrive di tennis e sport da sempre. Nel corso della sua carriera giornalistica, dopo essere stato collaboratore di prestigiose testate quali “Match Ball” e “Il Tennis Italiano”, ha creato e diretto “Nuovo Tennis” e “ 0/15 Tennis Magazine”, seguendo per più di un ventennio i più importanti appuntamenti del massimo circuito tennistico mondiale: Wimbledon, Roland Garros, il torneo di Montecarlo, le ATP Finals a Francoforte, svariati match di Coppa Davis, e gli Internazionali d'Italia per molte edizioni. “ Nuovo Tennis” e la collaborazione con altra testate gli hanno offerto la possibilità di intervistare e conoscere in modo esclusivo molti dei più grandi tennisti della storia e parecchi campioni olimpionici azzurri. È tra gli autori di due fortunati libri: “ Un marciapiede per Torino” e “Il Tennis”.

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