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martedì, Luglio 8, 2025

    “Magnifiche collezioni”

    Arte e potere nella Genova dei Dogi alla Reggia di Venaria

    La regale residenza sabauda a Venaria è la perfetta cornice nella quale inserire prestigiose collezioni d’arte e non solo. La nuova stagione espositiva si apre con la mostra “Magnifiche collezioni. Arte e potere nella Genova dei Dogi”, che prosegue il viaggio intrapreso dalla Reggia di Venaria nei tanti aspetti delle regalità italiane, intese nel senso più ampio, per giungere nella Superba, appellativo con cui era nota Genova. L’esposizione, realizzata dal Consorzio delle Residenze Reali Sabaude, in collaborazione con i Musei Nazionali di Genova-Palazzo Spinola e la Galleria Nazionale della Liguria, è curata da Andrea Merlotti, Clara Goria, Gianluca Zanelli e Marie France Repetto; è visitabile sino al prossimo 7 settembre nelle Sale delle Arti.
    Nella progettazione dell’allestimento è stata dedicata particolare attenzione alla fruizione della mostra da parte delle persone con disabilità: è una “mostra accessibile, è un museo che si apre a tutti, nel completo rispetto delle diversità” come ha sottolineato Chiara Teolato, direttrice del Consorzio Residenze Reali Sabaude.
    Il percorso espositivo è articolato in sei sezioni, distribuite in 13 sale, che propongono le ricche collezioni d’arte -dipinti, sculture, arredi, bronzi e argenti- del Sei e del Settecento che raccontano del secolo d’oro di “Genova pittrice”, teatro del barocco e officina di una grande scuola di pittura.
    Sono raccolte d’arte appartenute ad alcune fra le più importanti famiglie patrizie genovesi come i Pallavicino, i Doria, gli Spinola, i Balbi, conservate ora a Palazzo Spinola di Pellicceria e ai Musei Nazionali di Genova. Sono esposte alla Reggia di Venaria circa cento opere che bene illustrano un’epoca, realizzate da Peter Paul Rubens, Antoon Van Dyck, Orazio Gentileschi, Guido Reni, Carlo Maratti, Angelica Kauffman, oltre ai celebri dipinti dei maestri della scuola figurativa genovese come Domenico Piola, Bernardo Strozzi, il Grechetto, Giovanni Battista Paggi, Gregorio De Ferrari e Bartolomeo Guidobono (attivo tra Genova e la corte di Torino).
    Genova, un’antica repubblica, una città di facoltosi mercanti e banchieri, retta da un duca, il doge. Il doge era eletto dal patriziato genovese che dal 1528 restava in carica due anni. Le famiglie si contendevano quindi l’elezione ostentando le proprie ricchezze, gareggiando per sfarzo e prestigio; le loro collezioni d’arte erano degne delle maggiori casate principesche d’Europa. Spettava dunque a Rubens, a Van Dyck e a importanti pittori fiamminghi ritrarne l’alta aristocrazia.
    La mostra prende avvio con l’imponente “Ritratto di Giovan Carlo Doria a cavallo” (1607) di Rubens. Il dipinto è un vero manifesto di potenza del più intraprendente collezionista dell’epoca, Giovan Carlo Doria, tanto che aveva concesso alcuni locali del suo palazzo a Giovanni Battista Paggi affinché ne tenesse un’ accademia di pittura.
    Sono esposti bacili e vasi in argento, finemente cesellati, commissionati dal doge Agostino Pallavicino a rinomati argentieri fiamminghi: nel Seicento l’argento era considerato il metallo più prezioso con il quale la corona spagnola saldava i debiti con i banchieri genovesi.
    Le quadrerie nei salotti -preziosamente arredati- ostentavano ritratti di dogi e cardinali, a documentare l’importanza della famiglia di appartenenza. E proprio la ritrattistica permette di comprendere il mutare delle mode e dei modi. Giovanni Maria Delle Piane, detto il Mulinaretto, con Domenico Parodi, uno dei ritrattisti più quotati del genovese, nel suo scenografico “Ritratto del doge Pietro Durazzo” (1685) tutti gli elementi – dai simboli del potere appoggiati sul tavolo, ai tessuti pregiati- concorrono a ricreare un ambiente simile a una sala del trono, rinnovando la tradizionale iconografia dogale di rappresentanza. I colori del doge erano rosso e oro; indossava il robbone, una sopravveste lunga sino a terra, sulle spalle aveva un manto in tessuto dorato e una mantellina in ermellino. Diversa è la scelta del nipote di Maddalena Doria, che per il suo “Ritratto di Paolo Francesco Spinola” (1794) dipinto dalla svizzera Angelica Kauffman, rispetto ai magniloquenti ritratti degli avi, vuole essere rappresentato come uomo di cultura, alla moda, contornato da libri, con sguardo sereno. Forse inconsapevole della prossima caduta della Repubblica.

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