Aprile, dolce dormire. Fino a ieri così recitava il vecchio adagio. Non sapeva ancora che per seguire, interessarsi o partecipare alle molte e a volte inattese vicende del trascorso mese primaverile avremmo dovuto essere tutti ben desti già dal mattino.
A cominciare dall’incontro dei coetanei casellesi del ’45 approdati nella prima domenica del mese presso un noto ristorante lanzese, alcuni di loro con il contributo di un viaggio in treno abbastanza singolare e divertente, a seguito di una lunga e a tratti sconfortante opera di ricerca e di paziente tessitura condotta dall’instancabile Ernesto Scalco. La bandiera della leva, ovviamente sempre di ferro, esposta in fondo al salone, rivelava non senza orgoglio i nostri ottant’anni.
Intorno alla tavola imbandita alcuni coscritti, uomini e donne, riscuotendo scarso successo, tentavano di riconoscersi pensando di poter ingannare il tempo trascorso con improbabili e a volte pretestuosi “ ti ricordi ?” , mentre altri approfittando dell’occasione, tentavano la conoscenza confrontandosi, fra un primo e un secondo piatto, sul principale comune interesse : il nome e la dose quotidiana dei farmaci, assunti a conferma della necessità e del dovere di cercare ogni giorno di protrarre il più a lungo possibile salute e serenità. Prima dei saluti, preceduti dall’augurale , generico arrivederci a presto, la foto di gruppo comprensiva di sorriso obbligatorio, anche se l’esiguo numero dei partecipanti induceva piuttosto a palese delusione e velata malinconia. Delusione e malinconia per coloro che speravo di ritrovare almeno in parte, dopo tanti anni, per tentare di rileggere nei loro occhi, quelli di oggi, il ricordo della vecchia, amata scuola elementare, a quel tempo ancora senza nome che, frequentata insieme per cinque anni, alla fine lasciò intravvedere ad ognuno di noi il proprio destino. Ci congedò consegnando a Bruno Berta, oggi presente all’incontro, il premio per la bontà e a Michelangelo Pagliano il premio per il miglior profitto, entrambi istituiti dalla locale Cassa di Risparmio. Diverso, nell’occasione, il sentimento per gli altri coscritti, ormai numerosi, che oggi ci guardavano da lassù. Sembrava volessero circondarci con la loro assenza e la loro voce, in particolare con il Cantovivo di Alberto Cesa, anch’egli compianto coetaneo, che Caselle pare aver colpevolmente dimenticato o forse di lui e della sua straordinaria arte non si è mai ricordata. Le note struggenti de “ Il partigiano” e quelle brillanti di “Festa d’aprile” , che immaginavamo di sentire, annunciavano l’arrivo di un altro più celebre coetaneo : il 25 aprile, splendido coscritto anche quest’anno, suo malgrado, vittima di sterili polemiche e di gratuiti disordini di piazza consumati fra incendi di bandiere e la solita sfida alla polizia, mentre nelle piazze e ai piedi di lapidi e monumenti nelle principali città del nostro Paese salivano alte le affermazioni di democrazia e libertà garantite da un governo che verbalmente sostiene , speriamo , di aver schiarito per sempre la vecchia camicia.
Ma il 25 aprile per la gente delle nostre parti, quella che abitava e abita ancora i luoghi percorsi e percossi dalla guerra di liberazione, continua ad essere qualcosa di diverso. È il ricordo sempre vivo e sofferto, spesso intimo, di una tragedia difficile da raccontare che in quei venti mesi di lotta partigiana ha conosciuto anche l’orrore del fratricidio nascosto tra le pieghe falsamente ospitali delle vicine montagne, teatro a cielo aperto di disperazione e morte di tante giovani vite alcune delle quali ci sono anche appartenute.
Quel giorno, per ricordare, ai balconi di molte nostre case, offerto al tiepido sole primaverile, sventolava il tricolore. Perciò a chi crede nei reali valori di libertà e democrazia, che con coraggio e sacrificio ottant’anni or sono ci sono stati affidati, è sembrata puerile e fuori luogo la raccomandazione di festeggiare con governativa sobrietà. Chi invece per ragioni di provenienza geografica o di appartenenza politica ha sentito forse soltanto fugacemente parlare di resistenza non sa che per non dimenticare o, se si preferisce, festeggiare il 25 aprile a noi è bastato intravvedere con gli occhi del cuore, il volto coraggioso di un giovane uomo, di un partigiano, attraverso la seta mai stanca di quelle bandiere.
Quasi una sindone.
Nei giorni immediatamente precedenti il mondo piangeva la morte di Papa Francesco che, anche per effetto dei suoi vecchi piemontesi natali, abbiamo sempre sentito particolarmente vicino. Dal giorno di Pasquetta la Chiesa e i fedeli di tutti i continenti addolorati si interrogano sul vuoto incolmabile lasciato da un uomo, un Papa, semplicemente grande. A Caselle si congedava per sempre anche Gianni Rigodanza. Un lungo percorso terreno costellato di successi come scrittore e giornalista arricchito nell’87 dalla direzione del nostro mensile a seguito della tragica scomparsa dell’indimenticabile Silvio Passera. La lascerà, in ottime mani, nel 2004.
Ottant’anni di libertà
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