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venerdì, Giugno 20, 2025

    Pax vobiscum

    Tutto è compiuto, habemus Papam: l’americano Leone XIV.
    Un americano che parla di pace è merce rara da tempo. All’annuncio c’è stato quell’attimo di perplessità, forse di delusione, subito fugata dopo le prime parole e da quel viso sopraffatto da un’emozione inimmaginabile.
    Il tempo ci dirà di più sulla sua figura.
    I nostri reverendissimi cardinali italiani dovranno pazientare fino alla prossima; non questi ovviamente. Nel frattempo si smonta il comignolo, i gabbiani visti in mondovisione avranno cura del loro piccolo lontano dai riflettori e la Cappella Sistina riaprirà ai fedeli o a chiunque desideri riempirsi occhi e cuore di meraviglia, perché fa bene, aiuta, perché il bello dona pace, ammirazione.
    Papa Prevost (c’è un ché di piemontese nel nome) porta sulle spalle l’eredità pesantissima di un pontefice, di un uomo, che non ha mai detto “Dio è con me”, al contrario del monarca russo e di quello americano che si sentono investiti dall’Altissimo per dare gloria alla patria, bombardando, mentendo e distruggendo allo stesso modo dei loro predecessori in orbace, col braccio teso o il pugno alzato.
    Poco importa si tratti di persone, dell’economia o altro; preoccupa il fatto che Nostro Signore ultimamente appaia un po’ distratto, e che lo Spirito Santo faccia un po’ come quel gabbiano che plana, si ferma e si guarda intorno, incuriosito, là dove nessuno gli potrà nuocere, e poi via, incurante degli affanni umani.
    Mascalzoni che dovrebbero essere inceneriti solo per aver nominato invano il nome di Dio.
    Sono tanti, tutti simili e tutti osannati che giurano sulla Bibbia, stringono crocifissi nelle mani, baciano il Corano.
    Papa Bergoglio era amato più dai non credenti, dagli atei , rispetto a coloro che si professano cristiani, ed era amato dagli ultimi, dalla gente comune perché usava un linguaggio semplice, era comprensibile, chiaro.
    Riavvolgendo il nastro non mi spiego la disposizione delle persone, della folla il giorno del funerale: lui sicuramente avrà dato disposizioni per il viaggio eterno; tutto il resto deciso da altri con punti di vista quasi opposti al suo. Ho provato delusione perché è l’esatto contrario di quanto Francesco predicava.
    Le persone, le genti che Francesco amava, che hanno sempre desiderato e pregato per una vita dignitosa, quelle persone di tutti i giorni, comuni, erano relegate in fondo, dietro lo schieramento di capi di stato, teste coronate e tutta l’accozzaglia di semi imperatori giunti da ogni parte del modo in passerella.
    Alcuni sorridenti: non si ride ad un funerale.
    I potenti della terra: gente lontanissima dal bene, dalla democrazia, attaccati al potere esercitato a qualunque costo.
    Perché non hanno lasciato i semplici cittadini accanto per l’ultimo saluto?
    Amareggia vedere il pazzo sudato, il Cetto argentino che per l’occasione ha lasciato a casa la motosega, così vicino a chi aveva pesantemente insultato.
    E “l’arancione”, l’uomo del mondo partito, tronfio come un tacchino prima dell’accoppiamento con quell’espressione che portano stampata in volto quelli come lui: i lati della bocca perennemente verso il basso, quasi un motto di perenne disgusto; esattamente come il Duce affacciato a Palazzo Venezia e … sono uguali. Nel suo mischiare Dio Patria e America cercherà forse di americanizzare pure il cristianesimo.
    Uguali nell’espressione, nel fascismo, nelle minacce.
    La fede, il rispetto non sanno cosa sia, lui come altri, e “Papa Cuor di Leone XIV” dovrà affrontare questo male che è ovunque.
    C’è stato un cambiamento epocale nella politica che ormai guarda la tecnologia e l’economia ma entrambe slegate dalla realtà: la tecnologia è diventata la nuova fede, la nuova verità, perché funziona anche da sola, senza uno scopo ma funziona, ha vita propria, e accomuna, raccoglie praticamente l’umanità intera ormai impallidita dalla luce fredda del proprio padrone, del nuovo idolo. Cristiani, mussulmani, taoisti, ebrei, buddhisti tutti accomunati dal nuovo dio:  tutti a farsi il selfie col buon Bergoglio anziché un segno della croce.
    Per dirla con Galimberti: la tecnica vuole il suo autopotenziamento ed è e sarà la nuova fede che soppianterà le altre, perché ci conosce, sa come fare, ci sa blandire e conquistare.
    Leone: non si può lasciar vincere ciò che non è umano.

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    Luciano Simonetti
    Luciano Simonetti
    Sono Luciano Simonetti, impiegato presso una azienda facente parte di un gruppo americano. Abito a Caselle Torinese e nacqui a Torino nel 1959. Adoro scrivere, pur non sapendolo fare, e ammiro con una punta di invidia coloro che hanno fatto della scrittura un mestiere. Lavoro a parte, nel tempo libero da impegni vari, amo inforcare la bici, camminare, almeno fin quando le articolazioni non mi fanno ricordare l’età. Ascolto molta musica, di tutti i generi, anche se la mia preferita è quella nata nel periodo ‘60, ’70, brodo primordiale di meraviglie immortali. Quando all’inizio del 2016 mi fu proposta la collaborazione con COSE NOSTRE, mi sono tremati i polsi: così ho iniziato a mettere per iscritto i miei piccoli pensieri. Scrivere è un esercizio che mi rilassa, una sorta di terapia per comunicare o semplicemente ricordare.

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