È banale ricordare come noi Italiani siamo conosciuti e ricordati all’estero: “Mare, sole, pizza e mandolino”, quando si è buoni e comprensivi, “Caciaroni, furbi e maneggioni” spesso e volentieri e “Mafiosi, corrotti e traditori” nella triste memoria collettiva che ci perseguita, incrollabile, da tempi immemori.
Sono le etichette, le stramaledette etichette che ci siamo, volenti o nolenti, lasciati appiccicare addosso da mezzo mondo e che incredibilmente fatichiamo ancora oggi a scollare come insulsi stereotipi.
È ben triste sapere di essere giudicato, non per quello che sei, ma per ciò che gli altri suppongono che tu sia, impacchettandoti in disvalori preconfezionati.
Eppure… Eppure noi tutti abbiamo imparato così bene la lezione al punto che contraccambiamo con pari stupidità l’altra metà del mondo appiccicando ignobili stereotipi a chiunque sia diverso da noi e che in qualche modo disturbi la nostra “normalità”, dagli immigrati agli extracomunitari, o generalizzando impietosi giudizi su interi continenti o etnie.
Difficile sperare che gli altri cambino se noi siamo i primi a fare come gli altri.
Ma in questa triste realtà c’è però una zona grigia che ci contraddistingue e ci rende unici: l’esaltazione aprioristica e ingiustificata di immaginari idealizzati. E in particolare risultiamo imbattibili in due campi: il calcio e l’esterofilia.
Strana accoppiata direte voi, ma vi assicuro che lo è meno di quanto possiate pensare.
Pensate per esempio al tifoso.
Tendenzialmente, moderato o no, ha una visione unilaterale del gioco del pallone: non è una questione su chi gioca meglio o peggio, su chi merita o demerita, no! Se la propria squadra perde c’è sempre del “marcio in Danimarca”, un complotto, una plateale e chirurgica ingiustizia. La linea di demarcazione tra chi subisce e chi usa fraudolentemente trucchi e inganni è semplicissima: chi perde è vittima, casta e innocente, chi vince il male assoluto.
Nuovamente le etichette la fanno da padrona e in questo campo siamo, purtroppo, maestri..
Ma anche in esterofilia ci facciamo onore.
È infatti tipicamente italico quel genuflettersi incondizionatamente di fronte alle “qualità” indiscutibili di quei mondi oltre le patrie frontiere, soprattutto europei.
Siamo fenomeni mondiali nell’esaltare stili di vita, abitudini, politiche e culture di chi parla una lingua diversa dalla nostra. Bramiamo la loro onestà, il loro essere civili, l’organizzazione, l’economia, la puntualità, la pulizia, l’ordine… Vi assicuro, più di quanto potremmo fare con la nostra squadra del cuore.
Ah, com’è pulita la Svizzera… Sapessi come sono organizzati in Germania… I Francesi poi, nessuno valorizza la cultura come loro… La libertà degli Olandesi… La simpatia degli Spagnoli… Non parliamo della democrazia dei Paesi Nordici… La scuola finlandese…
Di contro critichiamo, cinicamente, ogni microcellula del nostro Paese.
Siamo i primi, così, a creare le condizioni per screditarci immotivatamente e soprattutto per stereotipi.
Uscire da questo circuito non è poi così difficile, potrebbe essere sufficiente mettere da parte il sentito dire, il passa parola e provare a vivere in presa diretta queste “magnificenti” realtà. Scopriremmo che il mondo, noi compresi, è ben più complesso e articolato di come vorremmo immaginare, e probabilmente, proprio per questo motivo, bellissimo.
Non esiste una Germania, una Svizzera, una Danimarca, tantomeno Spagnoli, Americani o Tunisini.
Esistono persone, luoghi, realtà incredibilmente diverse, con pregi, difetti, unicità… mai perfette.
La bellezza della Terra in cui viviamo è proprio la diversità.
Finché giudicheremo aggregando queste diversità con nomi come Ucraina, Russia, Israeliani, Palestinesi, non potremo pretendere di essere capiti e di capire a nostra volta.
Vivremo, come sempre, in una realtà distorta, farcita stupidamente di… pizza, mafia e mandolini.