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sabato, Giugno 21, 2025

    Il Bimby


    Meta AI.
    Credo pure a voi sia arrivato su whatsapp il messaggio con l’icona rotonda colorata in azzurro, più o meno.
    Lo zampino dell’intelligenza artificiale è comparso pure sul celeberrimo social: si può tentare una sorta di dialogo scritto e funziona (magari sarò smentito) come un piccolo motore di ricerca o per altre richieste; sul Chromebook ho qualcosa di simile e lì si può abbozzare un botta e risposta, magari solo per curiosità, a voce.
    Lo stesso con l’assistente di Google o con Alexa, che ogni tanto si sveglia chissà come e perché in maniera del tutto autonoma: le ho chiesto se mi ascolta e mi ha risposto di no, anzi, che è progettata per proteggere la mia privacy.
    Non avrei nulla da nascondere a questi assistenti ma chissà perché se parlo (parlo in casa) di trapani tassellatori, poi me li trovo proposti ovunque.
    Da boomer quale sono trovo utili queste tecnologie per cose leggere, passatempo, piccoli aiuti, consigli, chiarimenti, pianificare una vacanza; ovviamente coloro che useranno questa nuova forma di intelligenza sul lavoro ne trarranno dei vantaggi indubbi, forse saranno in pochi ma potranno svolgere alcune attività più velocemente, perché in fondo quello conta ormai sul lavoro: fare in fretta. Ormai è competizione, corsa incessante, stress, insoddisfazione, ore sottratte al sonno. Con la macchina…chissà?!
    Credo che in futuro  il muratore, il piastrellista, l’idraulico, il tubista potranno tranquillamente aggiornare verso l’alto le loro tariffe per prestazioni che ben pochi nel tempo sapranno fare, tutti impegnati a correre appresso l’intelligenza nuova fino a diventare come il protagonista del film “Il tagliaerbe” del ’92.
    Questi programmi vengono usati (non sempre, ovviamente) a scuola per riordinare appunti, per i temi in classe, la tesi, e su quello non sono assolutamente d’accordo. Seppur con lievi differenze dovute alle impostazioni iniziali, alla fine il compitino risulterà piatto e senza personalità, praticamente la tomba della cultura, ma ciò che preoccupa è l’idea che il tutto venga fatto per togliersi un problema.
    Prima che qualcuno abbia da ridire: per il voto, per il sei, per la media, tutti abbiamo copiato, eccome, ma alla fine un briciolo di conoscenza della materia occorreva averla, insomma dovevamo metterci del nostro e aprire l’enciclopedia.
    Con la macchina, col programma impostato, cosa rimane? Rimane un’offesa verso sé stessi, l’ammettere fin da subito la propria incapacità o più grave ancora l’assenza di volontà nello studiare, nell’applicarsi, nello stendere un discorso di senso compiuto su di un foglio, possibilmente padroneggiando una quantità di vocaboli equa e senza violentare l’italiano, particolarmente i congiuntivi, accarezzando il gerundio e magari curando la punteggiatura, che dall’avvento dei social è ormai cosa rara.
    Sempre più giovani utilizzano il sistema senza rendersi conto che si stanno prosciugando: certo è comodo, può salvare qualche volta da una media disastrosa, ma se ci si abitua poi è difficile rinunciarvi.
    Pur ingannando i docenti, c’è il dopo ad attenderli.
    Lo so, lo usano anche giornalisti e politici senza titoli di studio, e si vede purtroppo per noi.
    Entrambe le categorie, di più i secondi, adottano la tecnica del Bimby: gli sbattono dentro gli ingredienti e lui lavora,  prepara cose che altrimenti non riuscirebbero; 400 grammi di cavolo, 50 di cipolla rossa, aglio, olio, noce moscata, peperoncino…..ed ecco una bella vellutata di cavolo.
    Col Bimby.
    Utilizzare l’ I.A. come fanno alcuni è più o meno la stessa cosa: butti le informazioni e poi, certo se funziona, è una soddisfazione. Ma per la vellutata, non certo per l’apprendimento.
    Poi si sa, quando una cosa è comoda, perché rinunciarci? Ma delegare (sarà inevitabile) l’apprendimento, il superamento di un ostacolo, ci farà trovare spiazzati quando arriverà il momento in cui non avremo “il macchinario” a salvarci, anzi saremo, saranno soli perché questi sistemi creano assuefazione, dipendenza.
    Sia per organizzare un lavoro, programmarlo, per preparare un esame, un qualsiasi compito, c’è l’invito a ricorrere all’artifizio, non dico a spegnere il cervello ma comunque a non sovraccaricarlo troppo.
    Una domanda: ma perché deve decidere la macchina? Noi siamo meglio!

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    Luciano Simonetti
    Luciano Simonetti
    Sono Luciano Simonetti, impiegato presso una azienda facente parte di un gruppo americano. Abito a Caselle Torinese e nacqui a Torino nel 1959. Adoro scrivere, pur non sapendolo fare, e ammiro con una punta di invidia coloro che hanno fatto della scrittura un mestiere. Lavoro a parte, nel tempo libero da impegni vari, amo inforcare la bici, camminare, almeno fin quando le articolazioni non mi fanno ricordare l’età. Ascolto molta musica, di tutti i generi, anche se la mia preferita è quella nata nel periodo ‘60, ’70, brodo primordiale di meraviglie immortali. Quando all’inizio del 2016 mi fu proposta la collaborazione con COSE NOSTRE, mi sono tremati i polsi: così ho iniziato a mettere per iscritto i miei piccoli pensieri. Scrivere è un esercizio che mi rilassa, una sorta di terapia per comunicare o semplicemente ricordare.

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