Ho conosciuto Pia Pera (che nome buffo e facile da ricordare, mi son sempre detta) attraverso le pagine, anzi l’ultima pagina, di Gardenia, in cui teneva una rubrica intitolata “Apprendista di felicità”. Ormai era diventata una bella abitudine quella prima pagina da leggere, che sapeva parlare agli occhi e al cuore, di cose vere e di sogni, sempre legati naturalmente al mondo vegetale.
Nella sua pagina ritrovavo sempre un po’ di me: la curiosità per il mondo naturale, per il giardino che sa anche di erbe aromatiche e di verdure, trovavo la poesia di un amico che attraversa la città cercando la forza del verde che cresce tra le spaccature del marciapiede e condividevo la voglia di lasciar cantare la bellezza della crescita anche disordinata delle piante, che sono esseri viventi con una propria capacità creativa. Nel 2016 la pagina si è bruscamente interrotta: dopo quattro anni di lento massacro la SLA aveva avuto la meglio su questa persona che sentivo come una sorella. Ho letto con commozione il suo ultimo libro:”Al giardino non l’ho ancora detto”. Si chiedeva, Pia Pera, se avesse dovuto avvertire le sue piante, i suoi fiori e l’orto coltivato di persona sulle colline toscane, del fatto che a breve se ne sarebbe andata. “Non diversamente da una pianta, io pure subisco i danni delle intemperie, posso seccare, appassire, perdere pezzi e soprattutto: non muovermi come vorrei […]. Se il giardino era stato il luogo dove contemplare metamorfosi e impermanenza, adesso l’accelerazione della corrente mi costringe a rendermi conto di esservi io stessa immersa […]. Immersa nell’attimo presente, come prima mai era accaduto, faccio finalmente parte del giardino, di un mondo fluttuante di trasformazioni continue”, osserva serenamente.
Il “Salone del libro” quest’anno ha come tema “Le parole tra noi leggere” e ci fa proprio riflettere sul fatto che attraverso le parole di un libro entriamo in contatto con gli altri: ci troviamo lì, dove un richiamo diverso ma simile ci riunisce. In questi giorni sono entrata con Pia… ne “L’Orto di un perdigiorno”, libro che ha scritto nel 2003 ed è un piccolo capolavoro letterario, arricchito ulteriormente nell’edizione Ponte alle Grazie dagli acquerelli di Stefano Faravelli. Come non trovarsi bene qui? Girovago con lei discutendo del metodo Fukuoka, quel visionario che sosteneva l’agricoltura della non-azione, perché anche Pia come lui ha abbandonato la città per coltivare il podere avito, ma ora è combattuta perché non è pensabile che da questo terreno così inselvatichito si possa sperare di far nascere qualcosa senza dissodare e concimare. Pia fa, l’orto le insegna. con i successi e gli insuccessi! Il libro inizia con una pagina meravigliosa dedicata alle amarene che riempiono anche la pagina dipinta da Stefano Faravelli: ”In certi momenti la felicità è troppo intensa, trabocca, da non contenerla. Come adesso davanti al rosso rubino delle amarene contro il verde scuro delle foglie. Il piacere di guardarli, tutti quei puntolini di un lucido rosso liquido./…/ Rosso liquido contro scuro verde vellutato, in gola ruscella un liquido amarognolo, a tratti quasi bruciante; strappo le ciliegie a manciate, una dietro l’altra, chissà quando smetterò.” Tutto il libro è pervaso di questa energia, l’energia dell’errore a volte, perché è facile sbagliare, ma è tutta esperienza che serve. Pia vorrebbe arrivare ad essere autosufficiente, semina, scava, zappa, segue regole a cui poi deve disobbedire. Mese per mese è un susseguirsi di mille progetti; si fa aiutare da altri sognatori come lei, o accetta di buon grado i consigli saggi e l’aiuto di qualche contadino più esperto. La cosa che mi piace di più è ascoltare la sua voce che chiama per nome varietà di piante da frutta dimenticate da anni, ortaggi particolari che sceglie, contraddicendo la sua voglia di fare da sé, sui cataloghi più raffinati, ma anche tutte le erbe selvatiche di cui va in cerca quando ancora nulla di commestibile appare nell’orto. Che sapienza sparge a larghe mani in questo libro!
Lo scrittore Emanuele Trevi nell’introduzione avverte:” L’orto di un perdigiorgiorno” di Pia Pera è un libro “utile” a chi desideri coltivare dei vegetali commestibili tanto quanto /…/ Volo di notte di Saint-Exupéry contiene informazioni su come pilotare un aereo.” Vero! È un diario botanico, racconta giornate di vita, fatte di caparbietà, di ricerca della felicità nelle piccole cose, di silenzio, di fatica e della possibilità di riprendere in mano la propria esistenza. È un coltivare e farsi coltivare.
E le parole “leggére” di questa scrittrice sono la chiave per farci ritrovare in comunione con la forza primordiale e vitale che dobbiamo di nuovo imparare ad ascoltare.
Tra le pagine escono improvvisi gli acquerelli dell’artista torinese Stefano Faravelli: il dono di questo libro si fa prezioso: prugne pruinose, lucide amarene, bruchi e rose, raganelle e fiori di cardo, escono dal piano del foglio scritto come le creature di Escher, attraversano allegri le montagnole di parole, poi si rituffano giù. Meraviglia di parole e colori. Libro imperdibile.
Naz