L’attualità del tema della guerra è talmente evidente da non aver bisogno di dimostrazioni. Le cronache riversano notizie e immagini raccapriccianti di quanto avviene in diverse parti del nostro pianeta, e mentre le più alte autorità culturali e spirituali invocano in ogni modo la pace, i politici coinvolti nei conflitti sembrano impegnati in un perverso gioco di strategie piuttosto che realmente desiderosi di porre fine alle ostilità. Lo sguardo attonito e inquieto con cui ciascuno di noi guarda il mondo in guerra, e gli interrogativi che ne conseguono sul piano individuale e collettivo, fanno sì che il dibattito su questi temi abbia coinvolto la società a tutti i livelli, e che diverse istituzioni abbiano scelto di farne il fulcro della propria programmazione culturale. Non sono esclusi coloro che organizzano stagioni di musica classica, e infatti è stato “Guerre e pace” il tema scelto per la cinquantunesima edizione del Festival della Valle d’Itria (per il primo anno sotto la direzione artistica di Silvia Colasanti), incentrato sulla rappresentazione di opere di rara esecuzione, che si svolge a Martina Franca tra luglio e agosto, ed è una delle tappe fisse della mia estate.
I tre titoli programmati propongono all’ascoltatore una riflessione sul tema della guerra da angolature molto diverse. Nel “Tancredi” di Rossini (1813) uno scontro politico-religioso internazionale e una molteplicità di conflitti civili e familiari fanno da sfondo a un amore appassionato che non accetta di piegarsi alla ragion di Stato. Il compositore scrisse due possibili finali per l’opera, uno lieto, che prevede la riunione di Tancredi con l’amata Amenaide, e uno tragico, che si conclude con la morte del protagonista, ferito in battaglia proprio nel momento in cui potrebbe convolare a nozze. A Martina Franca si è scelto di proporre in sequenza entrambi gli scioglimenti, prima quello tragico e poi quello lieto. Nell’idea del regista Andrea Bernard (che ha ambientato la vicenda ai giorni nostri, in un parco giochi distrutto dai bombardamenti), è un bambino che, non accettando la morte dell’eroe, lo risuscita (come se si fosse in un videogioco che mette due vite a disposizione), e impone alla vicenda un esito lieto. Bisogna ammettere che la regia, nella sua realizzazione, era alquanto deludente da vari punti di vista, ma non mancava di porre l’accento sull’attualità del dramma della guerra e sugli effetti che essa ha sulle giovanissime generazioni che ne sono coinvolte. “L’enfant et les sortilèges” di Ravel (1925) porta il tema della conflittualità in una dimensione onirico-fiabesca: un bambino decide di essere cattivo e di “fare la guerra” agli oggetti e agli animali che lo circondano; ne derivano una ribellione e un disordine universale che si placano solo quando il bimbo, con uno slancio inatteso di compassione, medica uno scoiattolo ferito. Piccoli gesti d’amore possono curare un mondo lacerato. Lo spettacolo, semplice ma efficace e gradevole, era affidato ai giovani della locale Accademia del Belcanto, alla regia di Rita Cosentino e alla direzione molto accurata di Myriam Farina. Con “Owen Wingrave” di Britten l’antimilitarismo, dichiarato e vissuto, è il tema stesso su cui si incentra tutta la partitura. Protagonista è il rampollo di una famiglia inglese di epoca vittoriana dall’antica tradizione militare, che si oppone, con la fermezza di un soldato, al destino scritto per lui, e finisce per soccombere, sia pure a testa alta, a una società che non ammette difformità di vedute. Scritta nel 1970 per la televisione, e poi approdata in teatro, l’opera si richiama chiaramente al tema dell’obiezione di coscienza che si discuteva in quegli anni, e mette in luce come il rifiuto della guerra non sia una forma di debolezza bensì una scelta determinata e consapevole. La realizzazione dello spettacolo, firmato dal regista Andrea De Rosa e dal direttore Daniel Cohen, è stata davvero esemplare, sia dal punto di vista visivo che da quello musicale, e si può dire che questo sia stato il pannello più significativo del festival.
Ma non è solo il Festival della Valle d’Itria ad aver scelto questo tema per la propria programmazione. Più in piccolo, il Lucignano Music Festival, che si svolge dal 17 al 21 settembre nel borgo toscano della Valdichiana, quest’anno ha come titolo “Guerra e pace”. Il festival è giunto alla sua quinta edizione, sotto la direzione artistica della violinista torinese/valdostana (ma da anni residente in Svizzera) Irene Abrigo, e propone una giornata di laboratori e cinque concerti da camera il cui repertorio spazia da Mozart allo Swing, e include il “Quatuor pour la fin du temps” composto da Olivier Messiaen in un campo di concentramento durante la Seconda Guerra Mondiale. Affine è anche il tema dell’edizione 2025 di MiTo-Settembre Musica, svoltasi nelle scorse settimane tra Torino e Milano: “Rivoluzioni”, intese sotto vari punti di vista, che includono “tempi di guerra, tempi di pace”.


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Guerre e rivoluzioni rappresentano momenti di cambiamento a livello storico, globale, locale e anche personale, per coloro che ne sono toccati. Proprio sul tema dei cambiamenti, anche se non legati a eventi bellici, si è focalizzato il festival Artitude, alla cui organizzazione da alcuni anni partecipo. Fondato dalla pittrice Giorgia Madonno, si svolge in estate in Valle d’Aosta, e quest’anno ha avuto un’unica tappa a Saint-Nicolas, dall’8 al 12 agosto. La mostra di arte visiva, intitolata “Transizioni” (opere di Elena Capra, Matteo Evangelisti, Jean Gadin, Marco Jaccond, Giorgia Madonno, Chicco Margaroli, Dante Marquet, Patrick Passuello, Peter Trojer) ha messo in luce come l’arte possa in vari modi essere oggetto o farsi voce di momenti di cambiamento, estetico o interiore. Parallelamente alla mostra si sono svolti alcuni laboratori di pittura e di filosofia, e vari eventi che hanno affrontato il tema del cambiamento da diversi punti di vista: una tavola rotonda sull’arte tradizionale valdostana in transizione verso il futuro, un talk sul cambiamento generazionale, una conferenza da me curata sulla trasformazione del belcanto, un concerto di Christian Zimmermann che ha messo in luce il passaggio dal Rinascimento al Barocco nella musica per liuto e due presentazioni di libri (con Christiane Dunoyer e Attilio Piovano). Il successo di pubblico, non ugualmente distribuito su tutte le iniziative ma molto partecipe, e la consapevolezza di aver organizzato una rassegna significativa e coerente, sono di sprone per guardare con progettualità alle prossime edizioni del festival.







