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lunedì, Novembre 10, 2025

    Il brindisi fatale di Rosmunda

    Il tema di questo articolo può essere ascritto all’universo del canto popolare ma, come avremo modo di constatare, offre lo spunto per una più ampia riflessione sulle fonti della nostra tradizione.
    Partiamo da uno studioso che ha fornito un contributo rilevante alla conoscenza della cultura popolare: Costantino Nigra (1828-1907). Abile diplomatico dello stato sabaudo, seppe anche coltivare per tutta la vita una grande passione per i testi folklorici, che raccolse e studiò con metodo innovativo.
    Nel 1888 venne pubblicata l’edizione definitiva della sua raccolta Canti popolari del Piemonte, che rappresenta il risultato delle sue ricerche. Non si tratta di una semplice silloge di testi, ma si intravedono in essa una cura filologica e un atteggiamento che potremmo definire senz’altro anticipatori delle più moderne tecniche di ricerca folklorica.
    La novità rispetto alla scrupolosa cura nell’archiviare i testi, che era già stata adottata in precedenza dal Tommaseo e dall’Imbriani, consisteva dunque nella particolare attenzione rivolta al confronto tra le fonti e all’analisi del contesto storico-linguistico in cui i canti popolari hanno avuto origine. In pratica attuò una prima sostanziale divisione, tra le canzoni, che ritenne tipiche dell’Italia settentrionale, e i canti lirici, strambotti e stornelli, dell’Italia centro-meridionale. In seguito definì i caratteri essenziali di tali componimenti.
    Pur con metodi ormai superati per la moderna linguistica romanza, il Nigra appare dunque consapevole della sostanziale differenza tra la Romània occidentale (che comprende penisola iberica, regione francese e Italia del nord sino alla linea La Spezia-Rimini) e la Romània orientale (Italia meridionale e Romanìa).
    Oggi si sa che il confine linguistico è alquanto sfumato e si preferisce parlare di isoglossa, cioè la linea che unisce tutti i punti in cui si manifesta lo stesso fenomeno linguistico. Anche gli studiosi immediatamente successivi al Nigra hanno sottolineato come quella suddivisione fosse piuttosto arbitraria, e non tenesse conto della presenza per esempio di canti storici e romanzeschi anche al di fuori della zona gallo-italica, nelle altre regioni italiane. Tuttavia bisogna riconoscere al Nigra il merito di aver indotto a una ricerca di questi testi proprio con la diffusione delle sue teorie.
    Nel corpus di testi raccolti da Nigra ne troviamo uno particolarmente interessante per porre in luce come il semplice testo di una canzone popolare possa rivelare l’influenza, alla sua origine, di fatti, temi e personaggi che dalla storia – quella con la “S” maiuscola – sono entrati a far parte del folklore, ambito del sapere popolare a cui spesso non riconosciamo quella dignità culturale che senza dubbio merita, da sempre.
    La canzone a cui facciamo riferimento è Donna lombarda e l’evento storico, a cui Nigra riteneva si riferisse, sarebbe quello in cui la protagonista è la regina Rosmuda (540-572), moglie di Alboino (530-572), re dei Longobardi.
    Partiamo da lei riferendoci a quello che forse è l’episodio più noto della sua vita. Abusando in modo delirante del potere di cui disponeva e incapace di mettere un freno alla propria malvagità, Alboino volle umiliare la moglie con un gesto rimasto scolpito nella memoria: la costrinse a bere in una coppa realizzata con il cranio del padre della donna, Cunimondo, re dei Gepidi da lui fatto uccidere.
    In seguito però Rosmunda si vendicò e convinse il suo amante, Helmechis, a uccidere Alboino; poi, dopo l’assassinio, la donna volle liberarsi anche del complice: “gli porse una coppa avvelenata, dicendogli che era una bevanda salutare. Egli, come si accorse di aver bevuto la coppa della morte, sguainò la spada sopra Rosmunda e la costrinse a bere quello che era rimasto. E così, per giudizio di Dio onnipotente, gli infami assassini morirono nello stesso momento” (Paolo Diacono, Historia Langobardorum, II, 28).
    Adesso rivolgiamoci alla succitata Donna lombarda: una canzone documentata soprattutto in alcune aree del Piemonte (in cui probabilmente ebbe origine), ma presente anche in altre regioni italiane. Il testo narra la vicenda di una donna che avvelenò il marito, ma l’uomo, scoperto l’inganno, avvelenò a sua volta la moglie, così morirono entrambi.
    Secondo Costantino Nigra in questa canzone – di cui esistono alcune varianti – di forma ma non di contenuto – la struttura narrativa sarebbe mutuata dalla vicenda di Rosmunda. In realtà la donna compie un’azione non dissimile da quella effettuata dalla moglie di Alboino, con risultato finale analogo.
    Riportiamo il testo tradotto dall’originale in dialetto canavesano: “Amatemi me, donna lombarda, amatemi me – Oh come mai volete che faccia, che ho il marito? – Vostro marito, donna lombarda, fatelo morire. – Oh come volete che faccia per farlo morire? – Io vi mostrerò una maniera per farlo morire. Nel giardino dietro la casa c’è un serpentello. Pigliategli la testa e poi pestatela, pestatela bene; e poi buttatela nel vino nero, dategli da bere; che vostro marito vien dalla caccia con tanta sete – Datemi del vino donna lombarda, ho tanta sete. Che ci avete fatto donna lombarda? Gli è intorbidato – Il vento marino l’altra sera lo ha intorbidato – Bevilo ti, donna lombarda, bevilo tu – Oh come volete che faccia, che non ho sete? – Per la punta della mia spada, tu il beverai. – La prima goccia che n’ha bevuto donna lombarda cambia colore. La seconda goccia che n’ha bevuto, donna lombarda chiama il confessore. – Laterza goccia che n’ha bevuto donna lombarda chiama il sotterratore”.
    Dal 1858, quando Nigra propose la tesi secondo la quale la protagonista della Donna lombarda presenterebbe analogie con la vicenda di Rosmunda, questa interpretazione fu quella condivisa dalla maggioranza degli studiosi.
    Il passaggio sarebbe avvenuto con la mediazione di Paolo Diacono, storico dei Longobardi, il quale estrasse la vicenda dalla storia/mitologia per ascriverla definitivamente nella letteratura.
    Nigra, con un po’ di enfasi, così commentava la relazione con la Storia dei longobardi: “la cronaca di Paolo Diacono concorda talmente colla canzone popolare, non solo nella sostanza, ma anche nella forma, che si può sospettare con qualche ragione che il Diacono nel descrivere la morte di Rosmunda subisse l’impressione d’un canto tradizionale non dissimile dal nostro (…) Mentre le concordanze provano con bastante evidenza l’identità di Rosmuda e di Donna lombarda, le differenze non sono tali da infirmarla”.
    Di fratto le concordanze non mancano di certo e Nigra riteneva che “non fossero attribuibili al caso”.
    Una variante notevole è relativa alle modalità di preparazione della posizione velenosa: Paolo Diacono non entrò nel merito, mentre nella canzone a questo aspetto è dedicata una certa attenzione, con tutta una serie di varianti nelle diverse versioni. Nigra riteneva sostanzialmente coeva agli eventi longobardi la redazione della canzone. Ipotesi non condivisa da tutti gli studiosi e già Alessandro D’Ancona – nel suo libro La poesia popolare – poneva in rilievo le sue perplessità, non solo per Donna lombarda: “Se si volesse applicare la dottrina che le canzoni storiche siano sempre coeve al fatto che celebrano, avremmo qui un canto volgare, anteriore d’assai allo svolgimento delle lingue volgari. Bisognerebbe per lo meno supporre che il canto durasse lungo tempo nella forma barbara di latinità, e più tardi, dopo parecchi secoli, venisse trasportato ne’ vari dialetti d’Italia, o in quell’uno, donde passò agli altri”.
    In effetti la tesi di Nigra è da tempo oggetto di discussione, soprattutto per un’avversione – in gran parte giustificata – al comparativismo, a cui allora si faceva spesso riferimento che per quanto non totalmente inutile, tende a rendere troppo semplici legami e influenze nell’analisi di prodotti culturali originati in periodi diversi e in località anche molto lontane.

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