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lunedì, Novembre 10, 2025

    Il Medioevo all’opera

    Un convegno ad Asti e l’inaugurazione della stagione del Teatro Regio

    Nell’ultimo weekend di settembre si è tenuto, ad Asti, il Festival del Medioevo Astese. La rassegna, intesa a valorizzare l’epoca storica in cui la città ebbe il suo massimo splendore come libero comune repubblicano e nacque il celebre Palio, non si propone di essere una manifestazione folkloristica, e nemmeno una celebrazione a tema prettamente storico. Gli organizzatori, infatti, hanno inteso offrire una serie di eventi (convegni, conferenze, mostre, concerti, visite guidate) che permettessero di guardare il Medioevo con uno sguardo ampio, nella sua essenza storica ma anche nei modi in cui nei secoli quell’epoca è stata riproposta e rivissuta dalle diverse arti.  E così l’inaugurazione, giovedì 25 settembre, è stata affidata a un convegno sul “Medioevo immaginario nel teatro musicale”: tre relatori hanno ripercorso la presenza dei secoli medievali nelle trame del teatro d’opera moderno (che, essendo nato attorno al 1600, nel Medioevo ancora non esisteva), spiegando come in esse il Medioevo viene raffigurato e reinterpretato. Alberto Bazzano (critico della rivista “L’Opera”) ha fatto un breve excursus dalle origini seicentesche dell’opera alla fine del Settecento, e si è poi concentrato sulla prima epoca romantica, rendendo conto anche della raffigurazione visiva che si dava degli scenari medioevali attraverso le scenografie. Marco Leo (eh sì! ho avuto l’onore di essere invitato anch’io) ha parlato del Medioevo nel teatro verdiano, illustrando come nelle opere di Verdi (13 suoi titoli su 28 hanno ambientazione medievale), pur non ravvisandosi un’immagine unitaria di quell’epoca, si riscontrino alcuni tratti costanti di come il Medioevo era immaginato nell’Ottocento. Il Medioevo era inoltre un’ambientazione “esotica” per collocare una vicenda umana e sviluppare un dramma psicologico-sentimentale senza tempo (che era il vero interesse del compositore), e quindi, in fondo, un luogo in cui parlare dell’uomo e dell’oggi, senza farsi troppi scrupoli nell’attribuire ai personaggi medievali pensieri tipici della società ottocentesca. Alessandro Mormile (critico di “Connessi all’opera”) ha affrontato l’epoca eclettica a cavallo tra XIX e XX secolo, quando del Medioevo si tendeva a dare una raffigurazione simbolica, un’immagine quasi trasfigurata e senza tempo, come nel “Pelléas et Mélisande” di Debussy, ma si recuperavano anche delle melodie, citate o rielaborate, sulla scorta del gusto neogotico, come avviene nel “Jongleur de Notre-Dame” di Massenet. Poi è passato a parlare di “Francesca da Rimini” di Riccardo Zandonai, l’opera che il 10 ottobre ha inaugurato la stagione 2025-2026 del Teatro Regio di Torino, anche perché era presente Andrea Bernard, regista dell’opera, che è stato intervistato in chiusura di convegno, e ha parlato della propria concezione dello spettacolo. Bernard ha scelto di ambientare l’opera nel secondo Ottocento, per avvicinarla alla contemporaneità pur mantenendo il realismo della vicenda, e di dare alla protagonista le caratteristiche della donna forte, non vittima ma artefice del proprio destino, che ella sa ribaltare, sia pure a costo della propria vita. Al momento in cui si scrive non si è ancora potuto vedere lo spettacolo, ma la concezione registica ‒ per quanto possa suscitare dubbi la trasposizione temporale ‒ pare interessante e mette ancor più la curiosità di andare in teatro, per un’opera sicuramente da non perdere.

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    Riccardo Zandonai (1883-1944), nato a Rovereto, nell’Impero Austro-ungarico, di formazione italiana ma profondo conoscitore della musica d’Oltralpe, fu un rappresentante della seconda generazione della cosiddetta “Giovane Scuola”, quel periodo della storia dell’opera italiana che spesso è impropriamente definito “Verismo”. Un periodo eclettico, come eclettici erano i gusti artistici di quegli anni, nei quali erano messi in musica i soggetti più diversi per genere e per ambientazione; in proporzione, erano relativamente poche le trame ispirate alla letteratura verista. Zandonai fu uno degli ultimi compositori di successo di opera italiana tradizionale (quella, per intendersi, che si fa convenzionalmente finire con la morte di Puccini), ed è apprezzato dagli studiosi per la sua scrittura sinfonica molto raffinata. “Francesca da Rimini”, rappresentata al Regio di Torino il 19 febbraio 1914, è l’unico titolo del compositore che sia stato ripreso con continuità, sia pure non frequentemente, in tutto il secolo successivo. Ispirata a Dante, con l’importante mediazione della omonima tragedia di Gabriele D’Annunzio (che Tito Ricordi ridusse a dimensione di libretto, mantenendosi fedele al testo dannunziano), quest’opera incarna le peculiarità e le contraddizioni dell’epoca liberty in cui fu composta, a cominciare dai contrasti tra finezze espressive e passaggi tonitruanti, tra declamato e involo melodico. Quando, nel 2014, ricorreva il centenario della prima assoluta, il Regio dimenticò questa importante ricorrenza, e ora vi pone rimedio con una produzione importante, che coinvolge, oltre al già menzionato regista Andrea Bernard, il direttore musicale del Teatro, Andrea Battistoni, specializzato nel repertorio italiano fin de siècle, il tenore Roberto Alagna (Paolo, in alternanza con Marcelo Puente), celebre per una lunga carriera che lo ha portato sui più prestigiosi palcoscenici a interpretare i maggiori ruoli da tenore lirico e lirico-spinto, il soprano Barno Ismatullaeva (Francesca, in alternanza con Ekaterina Sannikova), il baritono George Gagnidze (Gianciotto, in alternanza con Simone Piazzola), e, nella lunga schiera delle seconde parti, brevi ma molto intense, nomi come Valentina Boi, Matteo Mezzaro, Devid Cecconi, Valentina Mastrangelo, Silvia Beltrami. Insomma, una produzione che merita di essere seguita, sia per ragioni artistiche sia per conoscere meglio una tappa importante della storia del melodramma italiano che si intreccia con la storia di Torino.

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    Marco LEO

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