
Immaginiamo di sederci un attimo e di chiudere gli occhi: proviamo a pensare alla casa dei nonni o addirittura dei bisnonni, a quell’atmosfera particolare che la rendeva unica. Magari tornano in mente il profumo di un certo detersivo, il ticchettio di un orologio a pendolo, oppure la consistenza ruvida di un vecchio utensile di legno. Ecco, la mostra “…Nella cucina di una volta”, allestita a Caselle da La Forgia vuole proprio risvegliare queste sensazioni, questi ricordi, un po’ sbiaditi ma ancora vividi nel cuore. Sapete cosa sono i memorabilia? Sono oggetti del passato che vale la pena ricordare. Oggetti domestici e contadini provenienti dal passato recente ma ormai obsoleti, perché soppiantati da altri più moderni e comodi, o addirittura dimenticati perché non più in uso. Si tratta di strumenti semplici, che una volta erano indispensabili per la vita di tutti i giorni. Ripensarli evoca un’atmosfera nostalgica che hanno vissuto le generazioni precedenti la nostra. Molti di questi oggetti li abbiamo rivisti nella mostra e, testimoniano un pezzo di quotidianità scomparsa. C’era la braciera: un catino rotondo e basso di rame, che si riempiva di brace mescolata ogni tanto con un grosso cucchiaio di metallo. Si metteva in mezzo alla stanza per riscaldare l’ambiente nelle fredde giornate invernali. Macinacaffè e tostacaffè: molti ricorderanno ancora il macinacaffè che si usava per polverizzare i chicchi acquistati in drogheria. Uno scatolino in legno o metallo con la cupoletta apribile in cima e la manovella. Dentro si mettevano i chicchi di caffè e si macinava, poi si raccoglieva la polvere attraverso un piccolo cassetto sul davanti. Il tostacaffè invece è molto più antico e, più che altro si adoperava per tostare l’orzo poiché il caffè era per i ricchi dell’epoca e la gente comune doveva accontentarsi. Questo oggetto aveva forme diverse, si metteva sul fuoco, si girava una manovella fino a quando i chicchi non erano tostati e la casa si riempiva di profumo. Il ferro da stiro a carbone: questo, probabilmente lo conosciamo tutti, almeno come pezzo di arredamento riempito da fiori secchi o da altre decorazioni. Prima, però quando non esistevano i ferri da stiro elettrici, si usava questo ferro di ghisa che si scaldava mettendoci dentro la brace. Questo strumento chi chiama ferro proprio perché un tempo era fatto di questo materiale. Una specie di navicella con tanti fori come piccoli oblò intorno alla base, il manico con impugnatura in legno, fissato al centro del coperchio. Era pesante e scomodo, bisognava fare attenzione a non scottarsi. La macchina da cucire, ovviamente a pedale: un attrezzo piuttosto ingombrante che si usava per cucire e rammendare i vestiti. Era un oggetto prezioso in casa, soprattutto per le donne che la sapevano usare con grande maestria. Era contenuta all’interno di un mobile in legno e si poteva fare uscire e bloccare esternamente con una sola manovra. Poi, con i piedi si azionava il pedale in metallo che attraverso un sistema di ruote e corda in cuoio muovevano su e giù l’ago dentro il piedino. Questi sono solo alcuni degli oggetti che si usavano un tempo e che si possono ammirare nella mostra che molto deve alla cura e alla dedizione di Marinella Tosi. Ci sono oggetti di rame, di alluminio (i barachin nei quali i nostri papà ci mettevano il pranzo che avrebbero mangiato sul lavoro…), ceramiche antiche. È stupefacente che la vita sia cambiata così tanto in appena un secolo. Che dire? Era una vita più semplice, sicuramente e, non è raro che le persone anziane ne parlino con nostalgia. Si tratta di ricordi o erano davvero tempi migliori? Certamente erano altri tempi e, probabilmente c’era anche più solidarietà tra le persone. D’altro canto, il tempo lo costruiamo noi, con le nostre azioni, con il rispetto, partendo dalle nostre famiglie e dai nostri amici. E voi quali oggetti vorreste nei memorabilia?
Guido Gozzano fu il poeta delle piccole cose e scrisse: “Il gran lampadario vetusto che pende a mezzo il salone / e immilla nel quarzo le buone cose di pessimo gusto, /Il cucù dell’ore che canta, le sedie parate a damasco/ chermisi…rinasco, rinasco del mille ottocento cinquanta!”







