Negli ultimi mesi, l’America di Donald Trump sta riproponendo un’idea di religione che molti definiscono “politica” più che spirituale. Nelle sue dichiarazioni, nei raduni e nelle strategie elettorali, il riferimento costante ai “valori cristiani” assume sempre più il tono di un marchio identitario, di una bandiera da sventolare per dividere e non per unire.
È un Cristianesimo che non parla di accoglienza, di misericordia o di giustizia, ma di confini, potere e supremazia. È una religione ridotta a strumento di appartenenza nazionale, un simbolo da brandire contro l’altro — che sia l’immigrato, il diverso, il non credente.
Eppure, proprio questo paradosso potrebbe servire a fare chiarezza su ciò che il Cristianesimo autentico dovrebbe essere.
Il messaggio evangelico è sovversivo nel suo amore per l’altro, radicale nella sua compassione, universale nel suo abbraccio, non fonda partiti, non disegna confini, non costruisce muri: li abbatte.
Forse, osservando ciò che negli Stati Uniti viene oggi spacciato per “ritorno ai valori cristiani”, possiamo riscoprire cosa significhi davvero seguire un insegnamento fondato sull’amore, sul perdono e sulla giustizia sociale.
E questa riflessione diventa ancora più attuale se guardiamo a ciò che è accaduto in Italia, dove le piazze si sono riempite per chiedere pace e giustizia per Gaza.
Da Nord a Sud, migliaia di persone — credenti, laici, studenti, famiglie — hanno manifestato contro la guerra e per la dignità della vita umana, di ogni vita.
Così, mentre una parte dell’America di Trump piega la fede a un progetto politico, le piazze italiane ci ricordano azioni concrete per la pace, per la giustizia e per la dignità umana.







