Preti e magia nera

Seconda puntata

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Archeo-Noir

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Il mese passato abbiamo rivolto la nostra attenzione in direzione di alcuni preti che nei secoli andati ebbero alcune noie con la legge per il loro comportamento non proprio cristiano, sia sul piano etico che su quello giuridico.
In questa occasione spostiamo l’angolo di osservazione, pur continuando ad avere come focus alcuni comportamenti anomali di uomini di Chiesa e orientati ad avvalersi del potere della magia, ciò in forte contraddizione con la loro missione.
Emblematico il caso di padre Gandolfo, da Vicoforte a cui si legava una singolare signora, detta la “druida”, che, in primis, era guardata con un certo disprezzo poiché viveva more uxorio con il governatore di Mondovì; ma a questa sua peculiarità se ne aggiungeva un’altra: era nota per i suoi intrugli e filtri, prodotti, si diceva allora, con la complicità del diavolo…

Ecco come la descriveva Carlo Dionisotti nel suo Storia della Magistratura piemontese (1881): “La venefica donna chiudeva vivo un giovane dentro un sacco pieno di vipere e che dal sangue di lui traeva un tossico, il quale, dato a bere mescolato con vino, cagionava irreparabile morte (…) formando nel mese di settembre, quando il sole entra in libbra, una statua di cera vergine, recitando per un certo tempo sopra di questa il Salmo Deus laudem suam ne tacueris e giunto al versetto Fiant dies eius pauci (diventino pochi i suoi giorni) prefiggendo alla persona che con detta immagine si è voluta raffigurare il termine entro il quale dovesse morire, e piantato in petto alla statua la spina di un pesce chiamato micros, si procurava con effetto alla detta persona la morte”.

La statuetta era ottenuta con “terra di cimitero, agnus Dei, olio santo, sangue e cervella di piccoli bambini, sangue di gatti ecc. così il liquido in cui intingere il micros era costituito da sangue di bambino sgozzato dopo che era stato messo in un sacco con delle vipere”.
A questo punto dobbiamo orientare il nostro punto di osservazione in direzione del nostro padre Giovanni Gandolfo, che con la misteriosa “druida” aveva un rapporto non molto chiaro: di conseguenza le maldicenze non si contavano.

Il Gandolfo viveva nel convento cistercense di Vicoforte (Cuneo) e pare trascorresse molte ore a studiare la Clavicula Salomonis, testo di magia medievale, erroneamente attribuito a Salomone, terzo re d’Israele e figlio di David.

Il religioso era “entusiatico e visionario che faceva pubblicamente professione d’astronomia e d’astrologia e segretamente di fattucchieria”; ma andando contro il suo ruolo, non intendeva nascondere i propri interessi legati al mondo dell’occulto. Infatti, nel 1648 pubblicò il pamphlet: Accademia planetaria, contenente una serie di indicazioni non proprio rassicuranti su Casa Savoia. Nel libretto si prevedevano “cose infauste sopra la persona di S.A.R., che fu poi Carlo Emanuele II e dei suoi ministri”, inoltre era anche prevista la morte di “Madama Reale”.

Fu subito emesso un ordine di arresto per padre Giovanni Gandolfo, accusato di essere un fattucchiere praticante la magia nera e organizzatore di un attentato contro i Savoia. Il Gandolfo fu però avvertito e cercò rifugio nel convento di Sant’Agostino a Ceva, ma fu presto raggiunto dalle guardie sabaude che lo arrestarono e trasferirono nelle carceri di Torino. In prigione cercò di uccidersi, ma fu salvato: “nel vedere venire dalle finestre della prigione quelli che erano stati comandati per fargli scorta, aprendosi col ferro una vena tentò di accelerarsi la morte, il che non gli riuscì per la vigilanza dei suoi custodi” (G. Olivero, Memorie storiche della Città e Marchesato di Ceva, Ceva 1858).

Nel corso dell’interrogatorio, il Gandolfo oltre a confessare fece anche il nome di alcuni presunti complici: “dicea aver più volte passato seco discorsi circa i modi coi quali si fosse potuto levar occultamente di vita il Duca, al qual fine avevano concertato di servirsi di incantesimi, nei quali, tra gli altri ingredienti, doveva adoperarsi un’immagine di cera con spina di certo pesce che Andrea Masino nizzardo si era incaricato di far loro avere” (D. Bertolotti, Istoria della Real Casa di Savoia, Milano 1830).

Tra gli altri accusati il senatore Silano e Giovanni Antonio Gioja, genero di un lavandaio della duchessa, che incriminati di lesa maestà, furono giustiziati. Il Gandolfo invece fu strangolato in carcere, anche se le fonti sulla sua sorte non sono molto chiare. Sappiamo solo che il suo cadavere fu esposto pubblicamente per dimostrare che il potere dei Savoia era stato capace di abbattere qualunque espressione del potere ostentato dagli occultisti.
Di certo la vicenda ebbe un’eco molto vasta e alla condanna del prete-mago fu dato un rilievo del tutto particolare. Infatti “ai tempi del barone Vernaria, il capo di don Galdolfo serbavasi ancora esposto in una nicchia particolare nel pilastro delle forche innalzato fuori Porta Palazzo in Torino”.

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