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La bici d’inverno…

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…È un pensiero che la mente non considera, si potrebbe dire, parafrasando il testo della canzone di Enrico Ruggeri. E in effetti il tempo (non solo quello cronologico, anche quello atmosferico) è tra i motivi più citati per lasciare a casa la bici e tirar fuori dal garage l’automobile. Riguardo al tempo cronologico, abbiamo già spiegato in un precedente articolo che si tratta di un alibi infondato, perché è dimostrato che la bicicletta è il mezzo di trasporto più rapido su percorsi urbani al di sotto dei dieci chilometri. Ma anche il tempo atmosferico è un falso problema. Certo l’inverno (soprattutto a certe latitudini) non incoraggia. Tuttavia, si tratta più che altro di un ostacolo psicologico e già dopo le prime pedalate, anche in una gelida mattina padana, il freddo svanisce quasi subito. La bicicletta risulta funzionale nella maggior parte delle condizioni meteorologiche, pioggia esclusa. Non esistono infatti capi d’abbigliamento in grado di proteggere efficacemente il ciclista dall’acqua, garantendogli anche una sufficiente agilità di movimento. Pedalare sotto la pioggia non è impossibile, ma richiede una certa dose di auto, anzi “ciclo lesionismo”. Pioggia a parte, andare in bici in città non solo è possibile, ma anche piacevole persino in pieno inverno. Non a caso la bici è uno dei mezzi più usati in molte città del Nord Europa. Certo, bisogna essere un minimo organizzati per quanto riguarda l’abbigliamento, tenendo conto che il ciclista urbano è di fondo un asceta; ha fatto una scelta di essenzialità, ma è anche una persona che ha deciso di muoversi in bici per andare ovunque e quindi dovrà vestirsi in modo da non sembrare un astronauta o un corridore appena arrivato da una tappa del giro d’Italia. In città ci si veste come si vestono tutti, tenendo a mente alcune semplici regole. La prima è che in bicicletta si produce calore, e a differenza di chi viaggia in scooter, che deve indossare giubbotto stile Alaska e guantoni da pugile già a settembre, il ciclista, mentre pedala, ha di solito più caldo di quando è partito. Per questo è consigliabile un abbigliamento a strati, che consenta, all’occorrenza, di togliere la sciarpa o addirittura il giubbotto. È molto utile un cestino nel quale riporre gli indumenti che si vogliono eliminare durante il tragitto. Se il freddo va giù pesante, si può indossare una calzamaglia di lana sotto i pantaloni e calzini di lana. Meglio evitare giacche che renderebbero i movimenti impacciati o goffi. Una buona attrezzatura da montagna o trekking invernale resta la soluzione migliore. Le parti del corpo più esposte al freddo sono le mani, la testa e il collo. Non dimenticare quindi guanti, cappello e sciarpa. Se non si utilizza il casco, occorre un buon cappello di lana, che copra anche le orecchie. I guanti migliori sono quelli da ciclista in gore-tex, mentre quelli normali di lana sono inutilizzabili se piove.

Ma parlando di abbigliamento per bicicletta, non si può trascurare una parentesi storica, ricordando che i padani inventarono il capo perfetto per il ciclista: il mantello padano, o meglio, tabarro. Veniva avvolto intorno al corpo e, una volta montati in bici, il suo lembo andava a coprire il manubrio. Così, un unico capo riusciva a proteggere in modo efficace corpo, mani e gambe. Un’idea straordinaria.

“Si calcava in testa il cappello nero con la piuma che veniva dalla coda variopinta di un galletto cedrone, si issava sulla bicicletta. Poi afferrava il tabarro, se lo avvolgeva attorno con gesto da seminatore, ne posava le balze sul manubrio per evitare che il lungo mantello si impigliasse nelle ruote. Partiva, a pedalate lente e uguali, dominando la bicicletta e la strada” (Gian Domenico Mazzolato). Riesco ancora a recuperare, fra le memorie dell’infanzia, l’immagine di alcuni di questi anziani ciclisti. Sebbene il luogo in cui sono cresciuto sia alla periferia estrema della pianura, dove questa comincia a snaturarsi e a inerpicarsi verso le Alpi, di ciclisti col mantello se ne vedevano parecchi anche qui: figure quasi oniriche, avvolte nel loro tabarro, con l’ampio cappello nero calato sulla testa, a cavallo di arcaiche e pesantissime biciclette anch’esse nere, per lo più cigolanti. Questi antichi pedalatori fendevano le solide nebbie procedendo ad una lentezza quasi inammissibile, che sembrava sfidare le più elementari leggi della fisica.

 

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