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Fondata sul lavoro

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Ci sono due parole nel primo articolo della Costituzione che hanno sempre attirato la mia attenzione: “lavoro” e “limiti”. Sono termini centrali, perché definiscono i contenuti più importanti dell’articolo.
Qui vorrei soffermarmi sulla parola “lavoro”. Per comprenderne l’importanza, rileggiamo il primo articolo: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.”
Per cogliere la portata rivoluzionaria di questo enunciato, basta confrontarlo con l’incipit dello Statuto Albertino del 1848: “Con lealtà di Re e con affetto di padre, Noi veniamo oggi a…”, e così via. La differenza è netta: ci lasciavamo alle spalle un sistema arcaico basato sul privilegio dinastico. Con la Costituzione, ogni cittadino, uomini e donne, diventava titolare di diritti uguali per tutti. Il primo articolo non si limita a definire la natura dello Stato, ma racchiude in sé i principi e le finalità dell’intero impianto costituzionale, che vengono poi sviluppati negli articoli successivi. Il primo articolo è la Costituzione: l’identità stessa dello Stato ne è la diretta emanazione. Nel primo comma spicca la parola “lavoro”, fino ad allora trascurata. Solo a partire dall’Ottocento, grazie anche all’industrializzazione, il lavoro diventa un concetto centrale, sinonimo di emancipazione. Ma il suo significato non si esaurisce nella semplice opportunità di guadagnarsi da vivere: esso assume una valenza universale. Nell’antichità il lavoro era considerato un’attività degradante. Nel Medioevo la società era divisa in tre ordini: i bellatores, che combattevano e dominavano (i nobili), gli oratores, che pregavano e detenevano il sapere (il clero), e infine i laboratores, coloro che lavoravano al servizio degli altri due. Il lavoro era visto come un’attività umile, da delegare al popolo. Le donne, poi, non erano nemmeno prese in considerazione. La Costituzione ribalta questa prospettiva, ponendo il lavoro come fondamento primario dello Stato. È il collante che unisce la comunità nazionale: ogni cittadino, con le proprie capacità e competenze, contribuisce alla costruzione di una società coesa e solidale. Lo Stato, dunque, è il frutto del lavoro di tutti. Il lavoro è essenziale in ogni sua forma: manuale, intellettuale, politico. Una concezione così ampia e inclusiva rende lo Stato solido e resiliente. Uno Stato forte è in grado di superare le difficoltà e di resistere agli attacchi di chi, nel corso della storia, ha cercato di minarne le fondamenta democratiche. L’Italia è nata dalla Resistenza e dal sacrificio di molti, che per difendere questi principi hanno perso la vita. Queste parole non devono suonare retoriche. Dal dopoguerra a oggi, numerosi tentativi di destabilizzare la società italiana sono stati sventati, sebbene a caro prezzo. Le istituzioni hanno retto e molte organizzazioni democratiche le hanno difese con determinazione, spesso pagando con la vita. Oggi, nuove sfide si affacciano e richiedono un rinnovato impegno collettivo. In molti settori, il lavoro sta diventando sfruttamento, ai limiti dello schiavismo. Troppi giovani emigrano ogni anno in cerca di migliori condizioni e di maggiore riconoscimento. Il profitto e l’arricchimento fine a sé stesso sembrano essere diventati il nuovo dogma. Queste sfide non possono essere ignorate. La difesa della Costituzione, a partire dalla centralità del lavoro, è un obiettivo imprescindibile. Occorre restituire dignità al lavoro e riscoprire una politica intesa come servizio al Paese, piuttosto che come strumento di realizzazione personale e affaristica. Queste sono le sfide. Le accetteremo?

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