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Aspetti emotivi del disturbo dell’apprendimento

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Negli ultimi anni, specialmente se siete un insegnante, uno specialista in ambito infantile, oppure un genitore, avrete sentito parlare dei disturbi dell’apprendimento.

I disturbi dell’apprendimento, conosciuti con la sigla DSA, sono delle limitazioni per alcune capacità quotidiane e per lo sviluppo di specifiche abilità scolastiche. Si suddividono in dislessia (difficoltà nella lettura), discalculia (difficoltà nel calcolo), disgrafia (difficoltà nella realizzazione dei grafemi), disortografia (difficoltà nella correttezza della scrittura). Chi ha un DSA ha intelligenza e capacità cognitive adeguate alla sua età, ma ha difficoltà ad apprendere e ha un ritmo più lento dei suoi coetanei.

Nei primi anni di frequentazione della scuola dell’obbligo, gli insegnanti o i genitori si accorgono che qualcosa non funziona perché il bambino con un DSA non procede in una, oppure in più di una, di queste abilità come ci si aspetterebbe, nonostante stia ricevendo un’istruzione adeguata.

Quando un adulto, oppure il bambino stesso, si accorge di ciò, compaiono anche delle forti reazioni emotive. Può scattare il bisogno di negare che il problema esiste. Per questo, purtroppo, alcuni genitori, nonostante l’insistenza degli insegnanti, rifiutano di approfondire la questione. Temono che il proprio figlio venga considerato meno intelligente: non lo potrebbero accettare. Ci sono poi insegnanti, ancora poco preparati sull’argomento, che confondono i bambini con DSA con gli allievi svogliati.

Nella maggior parte dei casi, per fortuna, il sospetto di un DSA viene preso in dovuta considerazione ed il bambino viene fatto visitare da uno specialista, solitamente un neuropsichiatra, oppure uno psicologo o un logopedista, che con opportuni test valuta la presenza e la gravità di questo disturbo.

E da qui in poi cosa succede?

Viene rilasciato un certificato che va portato alla segreteria della scuola. Gli insegnanti provvederanno poi a redigere il PDP, ovvero il Piano Didattico Personalizzato, che consiste in un progetto formativo pensato per andare incontro ai bisogni educativi dei bambini con DSA.

Proprio da qui, dopo aver ricevuto una diagnosi, un certificato ed un PDP, possono iniziare molti disagi emotivi e relazionali. Gli specialisti potrebbero omettere di dare spiegazioni approfondite ai genitori che, poco formati e pieni di dubbi e paure, possono viversi la diagnosi come una sconfitta, una ferita sul proprio valore come genitori. Si sentono incapaci di avere un figlio che va bene a scuola. Potrebbero essere degli adulti che solo ora si rendono conto di avere lo stesso problema del figlio, perché il DSA ha una componente ereditaria, ma ai loro tempi nessuno ci aveva fatto caso. Magari erano considerati allievi che non si impegnavano, pigri, che potrebbero avere abbandonato la scuola anzitempo. Questo genera sensi di colpa, per avere “trasmesso” il disturbo al figlio, si riapre così una loro ferita. La diagnosi getta nel disagio emotivo: arrivano ansia e rabbia nel momento di fare i compiti, perché l’apprendimento non avviene in modo fluido, temono che il figlio sia poco intelligente, associano il DSA ad un ritardo mentale anche se sono cose completamente differenti. Ci sono genitori che vanno in terapia perché si accorgono di diventare aggressivi quando è il momento di fare i compiti, ad esempio quando li vedono lenti ed in difficoltà, possono perdere la pazienza al punto di picchiarli quando vedono che non capiscono. Questo è generato dal fatto che se il genitore si sente un fallito, il bambino è considerato così un fallito. L’adulto a sua volta era considerato fallito dal suo genitore…

Il malessere emotivo c’è anche negli insegnanti, specie se non sono adeguatamente formati su come rapportarsi con questi bambini. I loro pregiudizi potrebbero fare investire meno su questi allievi, svalutarli perché hanno bisogno di “scorciatoie” per imparare, come i testi e le verifiche facilitate.

Il bambino, a sua volta, non si vive granché bene tutto questo. Si sente diverso, iniziano problemi di autostima e di relazione con i compagni. Essere meno capaci rischia di diventare il sentirsi meno meritevoli. È un bambino che può essere preso in giro per le sue difficoltà, o messo da parte perché ha degli “sconti” sul programma scolastico o nelle interrogazioni. Il contesto giudicante porta a traumi che fanno sentire il bambino inibito. Ci sono maggiori rischi di bullismo, di solitudine, o di essere traumatizzati dagli insegnanti. Difficoltà di studio crescente portano una perdita di motivazione che impatta la carriera scolastica. In casi estremi arriva l’abbandono scolastico e addirittura il perseguire dei comportamenti devianti.

Quando c’è un disturbo dell’apprendimento, sono fondamentali una diagnosi precoce, nei primi anni di scuola, per poter intervenire subito. È necessario aiutare non solo il bambino, ma anche istruire i genitori, gli insegnanti ed i compagni per prevenire delle inutili sofferenze.

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