Se ottant’anni sembrano ormai troppi per continuare a celebrare l’anniversario della Liberazione e della vittoria contro il buio della ragione, significa una cosa sola: non abbiamo ancora chiuso i conti con un passato che passato non è e che cerca in tutti i modi giustificazione e ritorno.
Ritorno? Ma il fascismo se n’è davvero mai andato da questa nostra disgraziata nazione? L’amnistia che Togliatti presentò come un provvedimento di clemenza giustificato dalla necessità di un “rapido avviamento del Paese a condizioni di pace politica e sociale” rappresentò in realtà un colpo di spugna per sanare qualcosa di insanabile: troppi italiani cercavano di cancellare un’era divenuta ingombrante, desiderosi di dimostrare quanto in realtà fossero stati sempre “anti”, inseriti nei gangli d’una società che voleva disperatamente recuperarsi dopo una guerra insensata e dilaniante.
Il desiderio di ricostruzione imponeva anche una doverosa presa di coscienza che in realtà non si è mai realizzata.
Stucchevole la domanda all’attuale nostro governo di dichiararsi obbligatoriamente antifascista. La risposta non verrà mai perché semplicemente non può arrivare: il sotterfugio linguistico spesso infertoci per negare, compiacere e blandire è una toppa irritante.
Il fascismo non è stato un’entità metafisica come adesso ci vogliono far credere. È stato dittatura, oppressione, repressione di ogni forma di libertà e democrazia. Lì è nata la violenza come risoluzione dei contrasti sociali, lì sono nati i prodromi che ci hanno condotto alle leggi razziali e poi all’idiota ricerca di rieditare la grandezza di Roma e trasformarci in “otto milioni di baionette”, mandando a morire 500mila italiani, tra civili e militari, a cui va unito un altro esercito di mutilati, invalidi e orfani.
Come dimenticare il giogo fascista e nazista? Dopo ottant’anni abbiamo ancora di che liberarci.
Dai falsi miti che ci vengono riproposti; dalla voglia di triturare ogni difesa di principio sociale dei deboli e degli sfruttati; dall’idea che l’unica politica perseguibile sia quella pragmatica, dimenticando che solo le ideologie possono cambiare il mondo.
Stiamo diventando il Paese che sta dando dignità all’aggettivo “ignorante”, dandogli un’accezione diversa, un’attestazione di genuino, di giusto ritorno a origini veraci.
La distruzione dello studio della storia sta scavando più trincee che solchi ed è un’azione deliberata perché non si conosca più. O meglio, si disconosca, si scivoli nell’indifferenza, quella che concesse a Liliana Segre e a milioni di deportati come lei d’essere condannati a morte.
La memoria e la coscienza d’un popolo devono nascere sui banchi di scuola, così come la conoscenza di ciò che è stato.
Perché l’Europa è nata a Ventotene? Perché era un luogo dove si agognava un futuro diverso, in un posto di confino e detenzione per chi avversava un regime dittatoriale che ci avrebbe poi condotto a una sanguinosa guerra civile che ancora viaggia sotto traccia.
Cercare di sminuire i valori che porta con sé una festa come quella del 25 Aprile significa attentare all’impianto che sta alla base della nostra Repubblica e della nostra Costituzione.
Queste volute maiuscole, che si uniscono a quelle doverose che si devono a Liberazione e Resistenza, sono cardini ai quali non possiamo e non dobbiamo rinunciare.
Ottant’anni non sono troppi, anzi sono troppo pochi per pensare di mettere nel dimenticatoio l’idea di Libertà e di voglia di riscatto nate dalla Resistenza.
C’è stata una parte giusta e una sbagliata, dimenticarlo sarebbe un delitto.
25 Aprile
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