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giovedì, Maggio 1, 2025

     Un viaggio tra quattro concerti e quattro storie di musica

    La musica è un viaggio che ti fa sentire vivo, una strada che percorri senza mai sapere dove ti porterà. Ogni concerto è una tappa, ogni nota è una bussola che ti guida verso nuove emozioni. E così è successo con Anastacia, un’artista che ammiravo fin da ragazzo, quando la sua voce potente e unica dominava le classifiche su Mtv. Una delle prime voci che mi ha fatto innamorare della musica, un timbro che, nonostante il tempo, rimane inconfondibile. Quando l’ho vista sul palco, mi sono reso conto che, nonostante tutte le battaglie della vita, quella voce era ancora lì, intatta. Non è solo potenza, è emozione, è un timbro che ti attraversa e ti rimane addosso. Ho cercato di catturare ogni suo movimento, ogni sfumatura di quella voce che mi aveva fatto compagnia da adolescente. Eppure, c’era qualcosa di nuovo in Anastacia quella sera. Forse era la consapevolezza di aver superato tanto, di aver vissuto tanto, ma quella grinta, quella forza, era la stessa di sempre. “I’m Outta Love” ha risuonato nell’arena come un inno alla vita, un grido di chi, pur avendo visto e vissuto la sofferenza, sa che non è mai troppo tardi per tornare a splendere.
    Poi il concerto è finito, e il pubblico, ancora rapito, è rimasto sotto il suo incanto, quasi non volesse staccarsi da quella magia. Ma la musica non si ferma mai. Proprio quando l’eco della sua voce è svanito, il ritmo di un altro show travolgente è iniziato a farsi sentire nell’aria. Eccomi, senza nemmeno un respiro di pausa, davanti a un’altra esibizione che segna il passo di una nuova generazione di artisti.

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    Il palco dell’Inalpi Arena è diventato un’altra dimensione, quella del trap, del rap che non conosce confini. Sfera Ebbasta, il primo artista italiano ad entrare nel Global 100 di Spotify, ha trasformato quella serata in un viaggio senza limiti. Non era solo un concerto, era uno spettacolo globale, con fiamme che si alzavano dal palco, luci strobo che tagliavano l’aria, ballerini che si muovevano come se fossero prolungamenti della musica stessa. Ogni movimento era una coreografia perfetta, ogni suono vibrava nell’aria come se l’intero universo fosse in sintonia con lui. Lo ammetto: non sono un grande fan del trap, ma c’era qualcosa di irrefutabile nella classe di Sfera. Non c’era nulla di improvvisato, nulla di casuale. Era tutto curato nei minimi dettagli, come se il palco fosse una sua seconda pelle. E il pubblico? Un’onda di energia che si infrangeva sul palco. Voci che urlavano in coro, mani alzate, il respiro collettivo che creava un’unica anima che seguiva ogni parola, ogni battito. Persone che, nonostante non fossero dentro l’arena, si ritrovavano fuori, a cantare, a ballare, a sentire quella potenza sonora che li raggiungeva anche da lontano.
    La musica cambia, ma la passione rimane. Il pubblico, travolto dal suo show, presto è diventato una macchina capace di non fermarsi mai. Eppure, mentre tutto sembrava esplodere, mi sono ritrovato a guardare con lo stesso stupore quelle persone che trovano il loro posto in un concerto che, a tratti, sembra più una festa collettiva. Poi, la canzone “Baby” è entrata nell’aria, e tutto ha assunto una nuova intensità. Le parole sono diventate un mantra per chi lo segue, il suo inno personale.
    “Baby, sono stanco,
    mi hanno detto che non arrivo,
    ma ho fatto un altro passo,
    e ora sono in cima al mondo”
    Poi il passaggio è stato quasi naturale. Da un artista che fa ballare, si è passati a un altro che, pur essendo sulla stessa scena, ha un altro impatto. Geolier sale sul palco con una disarmante naturalezza. Nonostante l’energia di Sfera, Geolier porta con sé una calma che sembra travolgente. E non è solo la sua musica a parlare, ma quella simpatia che si percepisce istantaneamente. Si potrebbe pensare che i fan di Geolier siano solo appassionati della sua musica, ma c’è qualcosa di diverso. Quando lui è sul palco, il pubblico non lo segue solo per la sua musica, lo segue per quello che è: un ragazzo normale, il tipo di persona che tutti vorrebbero avere come amico. Il ragazzo della porta accanto che, per una serie di ragioni, è riuscito a farcela. E quando ti rendi conto di questo, ogni sua parola e ogni sua canzone suonano più vicine. C’è un legame che si crea tra l’artista e il pubblico, che va oltre la semplice esibizione. È un rapporto genuino, come se tutti fossero cresciuti insieme. Così mi sono ritrovato a scattare senza nemmeno accorgermene, perché ogni movimento di Geolier sembrava naturale, come se fosse l’espressione più autentica di ciò che provava. Il pubblico non cantava solo le sue canzoni, ma sembrava voler essere parte di quella storia. Ogni sua parola era un messaggio che veniva accolto con amore, come se quel successo non fosse solo suo, ma di tutti.
    E in mezzo a questa energia, c’è qualcosa di speciale che ti arriva dritto al cuore: Geolier non ha bisogno di grandi effetti speciali. Lui è semplicemente sé stesso, ed è proprio per questo che i suoi fan lo amano.
    Infine, l’ultimo concerto che ho avuto la fortuna di immortalare è stato quello di Brunori Sas. Probabilmente il suo successo al Festival di Sanremo ha dato una spinta incredibile alla sua carriera, ma c’è qualcosa di unico nel modo in cui vive il palco. Con la sua chitarra, ogni movimento sembra naturale, facile. C’è un’atmosfera di leggerezza che avvolge tutto il concerto. La sua musica è un respiro, un’aria che ti fa sentire come a casa, che ti accoglie con una dolcezza incredibile. E il pubblico? Era come se, ad ogni canzone, gli si aprisse una finestra sul cuore. Cantavano le sue parole come se quelle stesse parole potessero raccontare la loro vita. La simpatia di Brunori Sas, quella capacità di prendere ogni momento con il sorriso, ha reso quella serata speciale. L’ultima canzone che ha suonato, “La Verità”, è stata l’apoteosi di quella magia. Ogni nota, ogni parola, sembrava la chiave per capire qualcosa di più su di noi, qualcosa che non era mai stato detto prima.
    Concludendo, c’è una verità che unisce tutti questi concerti, che unisce tutte queste esperienze: la musica è un linguaggio universale. C’è chi la fa, chi la ascolta, e insieme si crea una connessione che va oltre le parole. E ogni concerto, ogni scatto, è solo un frammento di quella grande storia che è la musica.

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