Da più parti si sostiene che la televisione accesa, oltre a informare o intrattenere, faccia compagnia soprattutto alle persone sole o anziane. Già dal mattino, in molte case, arriva in diretta l’eco delle ultime bombe appena cadute, in questo colpevole panorama di distruzione, su donne e bambini indifesi e territori ormai inesistenti. Segue solitamente la noiosa riproposizione di fatti di cronaca nuovi o lontani nel tempo, di cui ogni giorno si annunciano clamorosi sviluppi, per offrire a legali assortiti e a personaggi normalmente incompetenti – e per questo definiti “opinionisti” – la fastidiosa possibilità di parlarsi addosso senza dire nulla.
In un programma diverso, dedicato alla salute e alle principali regole per custodirne più a lungo l’integrità, da alcuni illustri esperti, anch’essi miei quotidiani ospiti, ho sentito parlare di “tarassaco”, un termine a me sconosciuto che, per un lungo attimo, ha confermato quanto sia prigioniero della mia ignoranza. Sostenevano che fa bene, è depurativo, ricco di vitamina C e di sali minerali. Con grande stupore, ho scoperto in seguito che si trattava del nostro “girasole” o, come siamo abituati da sempre a chiamarli ignorando il singolare, dei “girasoli”.
Il ricordo allora è volato all’indietro, a quando, ragazzini, aspettavamo insieme alle persone più grandi che la neve – necessaria e gradita consuetudine invernale, da qualche tempo latitante – si lasciasse sedurre dal primo tiepido sole primaverile. Prendevamo d’assalto i prati intorno a una Caselle ancora piccola, arrivando fino alla strada per Ciriè, dove molti degli spazi verdi circostanti ignoravano il tormentato destino che li avrebbe attesi. Munite di innocui coltelli da cucina, le mamme, come se avessero fatto da sempre solo quello, inginocchiate o semplicemente accovacciate, individuavano, recidevano e giravano nelle mani i girasoli per assicurarsi della loro identità e, scuotendo abilmente il terriccio in eccesso, li deponevano in una borsa di robusta tela. Il nostro contributo risultava sempre molto modesto.
Più tardi, un paio di uova sode tagliate a spicchi e alcuni gherigli di noci aspettavano che l’acqua fredda e limpida di casa, in cui i girasoli si tuffavano per liberarsi definitivamente della terra, li restituisse pronti per diventare, tutti insieme, una gustosa insalata. Era l’insalata di girasoli, pietanza attesa tutto l’anno dall’intera famiglia, che puntualmente si ritrovava unita per il rito della cena serale. A quel tempo, con fiducia e speranza – entrambe ben riposte – si aspettava e si viveva ogni giorno un giorno nuovo, che sole e primavera si incaricavano di rendere più sereno anche senza l’artificio dell’ora legale. Lavoro e desiderio di rinascita si accompagnavano a momenti di svago spesso semplici e tuttavia ricercati, proprio come un’insalata di girasoli, il cui sapore sapeva essere al tempo stesso anche malinconico e riflessivo, come l’atmosfera che precedeva la Pasqua.
In quei giorni, gli scarsi mezzi di informazione disponibili si limitavano all’essenziale, facendo largo ricorso alla musica classica. Il giovedì sera, fedeli a un’antica tradizione scomparsa nei primi Anni Sessanta con il Concilio Vaticano II, intere famiglie, indossati faccia e atteggiamento di circostanza, si recavano nella propria chiesa, fiocamente illuminata, e al cospetto di crocifissi e statue religiose variamente celati da teli viola – raffiguranti la penitenza, l’attesa e il lutto – andavano, come si usava dire allora, a “chiedere il perdono” dei propri peccati. E poi, proprio come in questi giorni, si aspettava la Pasqua con il suono ritrovato delle campane e l’uovo di cioccolato per i più piccoli. Dentro, la sorpresa.
Oggi, come non mai, desideriamo che le campane possano suonare nuovamente a festa e che dal nostro gigantesco, malato, uovo di cioccolata avvelenata esca la sorpresa più bella. Quando succederà, torneremo con serenità a stendere, nel giorno di Pasquetta, la tovaglia a quadretti sull’erba dei prati vicino alla Stura, e sarà il miglior ritorno alla speranza. Sgusceremo le uova già sode portate da casa e ci inginocchieremo, sia come segno di profonda gratitudine, sia per scoprire, recidere e far girare tra le mani, prima di immergerli nell’acqua benefica del fiume, i girasoli appena raccolti. Diventeranno presto insalata, che saremo lieti di condividere con i nostri occasionali vicini di tovaglia, che forse arrivano da lontano, come da lontano tanti anni fa arrivarono molti di noi, sbarcati dalle stipate terze classi di vecchi e affaticati Treni del Sole.
Poi passerà il tempo anche per i girasoli. Al fiore giallo si sostituirà un bianco soffione. Le giovani ragazze soffieranno sulle sue candide lancette, fingendo di interrogarlo come si interroga un oracolo. Se il soffione si spoglia completamente, si avvera ogni desiderio.
La televisione accesa continua a farmi compagnia e parla ancora di tarassaco. Prepotente sale il desiderio di una nuova, antica insalata di girasoli. Quelli di allora.
L’insalata di girasoli
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