“Ciao nonna, da un po’ di tempo ho una domanda che mi frulla in testa. Probabilmente solo tu, o un’altra persona della tua generazione, può soddisfare la mia curiosità.”
Nonna Mariuccia sollevò lo sguardo dal libro che stava leggendo, guardò curiosa
suo nipote Marco e disse:” Vuoi che io ti chiarisca qualcosa? Ho l’impressione che sei
tu che devi aiutarmi a raccapezzarmi in questa vorticosa società. Comunque dimmi.”
“ Ecco la domanda: una volta si viveva meglio di adesso, o no? Sento un po’
dovunque che tutti si lamentano della qualità della vita attuale: troppo caos,
mancanza di rispetto e tanto altro. Penso che in questo qualcosa di vero ci sia, ma forse è anche la nostalgia che attanaglia. Puoi parlarmi di come era davvero la vita quando tu eri giovane?”
Nonna Mariuccia, nonostante l’età avanzata, era una donna lucida e pimpante con una
vivacità culturale che l’accompagnava fin da quando era ragazza. Traguardò il nipote
da sopra gli occhiali e disse:” Marco, finalmente possiamo fare una bella
chiacchierata. Siediti. Mi fai una domanda un po’ complicata e dove sono presenti
anche dei trabocchetti. In realtà in ogni periodo storico ci sono diversi aspetti che
interagiscono tra loro. È inevitabile.
Ti dico subito che la qualità della vita attuale è decisamente migliore di una volta.
Soprattutto per gli strati popolari. I ricchi hanno sempre fatto un campionato a sé.
Una cosa va detta subito, la vita era più semplice. Mica c’erano tutte le diavolerie che
ci sono oggi e che rendono la vita meno faticosa. Quando ero bimba l’unica cosa
“tecnologica” che avevamo era una, una sola, la lampadina elettrica.
Si viveva di più assieme, ci si aiutava. Quando in una famiglia capitava una disgrazia
diventava un problema di tutti. La povertà e le privazioni spingono verso la
solidarietà.
Di sicuro non avevamo certe fisime e ossessioni attuali.
Tuttavia la vita era davvero dura, gli operai, i contadini in pratica non avevano
quasi nessun diritto. Chi era disoccupato se la vedeva davvero nera, credimi! C’era un
certo fatalismo, si accettava la realtà così come era. Però tutto sommato eravamo più
sereni, questo sì.”
“Senti nonna”, incalzò Marco, “voglio approfittare per capire bene.
Puoi farmi degli esempi concreti, reali che fanno parte dei tuoi ricordi?”
“Facciamo così”, rispose Mariuccia, “ti racconterò la vita vera che due donne
conducevano per procurarsi di che vivere, non il superfluo ma il necessario.
In quei tempi molti dovevano ingegnarsi per creare misere attività lavorative,
dimostrando in questo creatività.
La vicenda è ambientata nel nostro paesino del sud alle falde dei monti Lattari. Però
non credere, la vita era dura anche qui al Nord. Di questo ti dirò dopo.
Nel nostro vicolo vivevano due donne che erano come due sorelle fin da
piccolissime. Abitavano in un’unica buia stanza, senza servizi. L’acqua, tutti,
l’attingevano da una fontanella comunale. Non avevano nessun familiare. Erano
davvero sole. Sai perché? Erano “figlie della Madonna”, come si diceva e si dice tuttora.
Sai cosa significa? Erano state abbandonate alla nascita sulla soglia di un convento,
assegnate a una famiglia di contadini per l’allattamento, poi in orfanotrofio. Appena
maggiorenni abbandonate a sé stesse. Funzionava così.
Fortunatamente incontrarono il parroco del nostro paese che le condusse con sé. Le
aiutò a trovare una stanza dove vivere, poi dovettero arrangiarsi da sole.
Le nostre donne si chiamavano Teresa e Rosina, per tutti zi’ Teres’ e zi’ Rusin’.
Come ti ho detto non avevano né terre né cieli da camminare, come recita un detto
tuttora in voga.
Dato che, tutti i giorni lo stomaco reclama il suo, le nostre amiche si inventarono un
piccolo e faticoso commercio.
Tu sai che in Meridione, tuttora, si producono taralli e “freselle”, sostanzialmente pane biscottato. Quando anticamente il pane non si faceva tutti i giorni, ma
occasionalmente, si mangiavano le “freselle”. Nei giorni di festa, taralli.
Le nostre donne, a giorni alterni, si recavano in una cittadina distante una quindicina
di chilometri, a piedi, e collocata su un monte di circa mille metri, che si chiama Agerola.
Qui si producevano, e si producono, i migliori taralli.
Quindi tutti i giorni zia Rosina e zia Teresa issavano in testa una capiente cesta, come
si vede in certi documentari, e via verso Agerola a comprare i taralli. Ovviamente a
piedi. Impiegavano un giorno per andare e tornare.
L’indomani andavano a vendere i taralli ai contadini e famiglie della piana di
Pompei. Una faticaccia! Dovevano fare il giro di tutte le famiglie finché non avevano
venduto tutta la merce. Capitava che qualche contadino di buon cuore regalasse loro
un po’ dei loro prodotti.
A casa un piatto di pasta e verdura era il loro magro pasto.
Questo per molti anni. Le loro figure agili e svelte erano diventate una componente
del paesaggio.
Quanto pioveva erano costrette a restare a casa. In quelle occasioni le due donne
venivano a chiacchierare da noi che abitavamo nei pressi. Mia mamma faceva la sarta
e papà il falegname per cui avevamo un relativo benessere. Senza eccessi, però.
Bisognava sempre essere molto attenti nella gestione familiare.
Ricordo un episodio in particolare, un giorno zia Teresa disse a mia mamma: “Nannina ho saputo che i signori mangiano la bistecca con l’insalata, è vero?”, questo per farti capire come vivevano. Neanche una banale bistecca…
Tuttavia di famiglie che dovevano arrangiarsi in mille modi ce n’erano molte non
credere. Ecco ti ho fatto un esempio di come vivevano molti. Poi, pian piano la
situazione migliorò.”
Marco aveva ascoltato in silenzio e con raccoglimento il racconto di sua nonna.
Rimase silenzioso per alcuni minuti. Evidentemente l’esperienza di vita di quelle due
povere donne l’aveva impressionato.
“ Quindi possiamo dire che noi siamo davvero fortunati a vivere nella società attuale,
dove il benessere non manca?”
“Guarda Marco, non credere che la vita fosse dura solo in Meridione. Anche qui al
Nord, soprattutto quelli che vivevano in certi contesti, come la montagna,
conducevano una vita fatta di sacrifici e privazioni.
Per dirne una, una mia amica mi ha raccontato che i suoi erano originari di Dronero.
Vivevano in una baita isolata. Una vita durissima. Suo padre era acciugaio. Tutti gli
anni, in estate, gli acciugai caricavano un carretto di acciughe e via a fare il giro di
tutte le cascine e paesini; a suo padre toccava la tratta fino a Volpiano. A piedi, andata
e ritorno, su quelle strade che più che strade erano viottoli sterrati. Impiegavano due
mesi. Dormivano dove capitava, a volte qualche contadino li faceva riposare nel suo
pagliaio e offriva loro, padre e figlio, un piatto di minestra. Capisci?
Ricordati che l’attuale benessere è figlio di tutti i sacrifici, privazioni e, diciamolo,
umiliazioni subite nel passato. Da chi? Prova ad immaginare.”
Marco fece l’unica cosa che poteva fare: abbracciò forte sua nonna che, mai come
ora, aveva capito che aveva seminato bene.
La dura vita di una volta
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