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giovedì, Maggio 1, 2025

    Protagoniste del teatro d’opera

    Un percorso tra le donne che popolano le scene melodrammatiche

    Questo numero del giornale, che esce nel mese della Giornata internazionale della donna, può essere occasione per dire qualcosa a proposito delle figure femminili che si incontrano nel teatro d’opera. Le donne hanno attraversato, e continuano ad attraversare, il mondo dell’opera a vario titolo e in diversi ruoli. Ad esempio, ci sono state e ci sono donne compositrici di opere: basti pensare a nomi come Pauline Viardot, nell’Ottocento, o, oggi, Silvia Colasanti, che è anche direttrice artistica del Festival della Valle d’Itria. Spesso si tratta di autrici poco conosciute al grande pubblico, o affatto dimenticate anche dagli appassionati, che meriterebbero di essere meglio ricordate. Ne parleremo, magari, in una prossima occasione. Ci sono state, e ci sono, poi, le donne che calcano i palcoscenici lirici come interpreti, i cui nomi sono impressi nella memoria collettiva assai più di quelli delle compositrici. Furono regine delle scene fin dagli esordi del teatro d’opera, e a maggior ragione a partire dall’Ottocento, quando, con l’estinzione dei castrati, ebbero l’esclusiva sui registri vocali più acuti. Alcune di loro si sposarono con i maggiori compositori dell’epoca (Isabella Colbran con Rossini, Giuseppina Strepponi con Verdi), divennero delle vere star e accumularono notevoli fortune. Il successo delle interpreti, non solo artistico ma anche mondano, andò ben oltre quel 1924 che, con la morte di Puccini, segna convenzionalmente la fine del periodo creativo del melodramma “tradizionale”: nel secondo Novecento, quando ormai il repertorio proposto dai teatri era quasi esclusivamente composto da opere del passato, nomi come Maria Callas, Renata Tebaldi, Joan Sutherland, Mirella Freni erano al centro delle cronache e dell’interesse non solo dei melomani. Al giorno d’oggi esistono ancora soprani, mezzosoprani e contralti di grande popolarità, come Anna Netrebko ed Elina Garanca, ma l’impressione è che la loro fama, quanto meno in Italia, sia circoscritta al mondo degli appassionati d’opera: questa forma d’arte, infatti, ha perso quell’importanza nella cultura di massa che poteva avere ancora alcuni decenni or sono, e la rilevanza pubblica dei suoi protagonisti è diminuita. Oltre che cantanti, le donne possono essere registe d’opera (come Emma Dante o Rosetta Cucchi), o manager di teatri e festival lirici (come Cristina Ferrari a Piacenza e Lucia Chiatti a Macerata), o rivestire più ruoli in parallelo. Perché ‒ ricordiamolo, anche se dovrebbe essere scontato ‒ la creatività femminile si può esprimere, con le proprie peculiarità, negli stessi ambiti in cui si esprime la creatività maschile. Ragioni storiche hanno comportato una decisa prevalenza di artisti uomini nel corso dei secoli, ma è giunto il tempo di riconoscere il contributo dato dalle donne all’arte nel passato e lasciare loro tutto lo spazio che meritano nel presente.

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    Ora vorrei però concentrare l’attenzione sulle donne che popolano il teatro d’opera come personaggi. Qualsiasi opera ‒ con l’eccezione di uno sparuto numero di titoli per sole voci maschili ‒ presenta in scena almeno un personaggio femminile in un ruolo focale, e ne descrive la psicologia con i mezzi specifici di questa forma d’arte. Talvolta (e qui entrano in gioco tante variabili legate allo stile, all’epoca e all’abilità dei compositori) la psicologia può essere soltanto sbozzata, o tratteggiata in forme prototipiche, tal altra lo scavo interiore può raggiungere livelli altissimi, e definire figure dotate di grande umanità. Ed è indubbio che, nel far vivere i personaggi, oltre alle note lasciate dal compositore sono fondamentali le capacità di immedesimazione dell’interprete.

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    Come esempi di personaggi femminili guarderò, per praticità, ai titoli in scena al Teatro Regio di Torino in questi primi mesi del 2025. Nell’«Elisir d’amore» di Gaetano Donizetti (1832), andato in scena tra gennaio e febbraio, protagonista è Adina, una giovane ragazza allegra e un po’ capricciosa che respinge la corte dell’ingenuo Nemorino, fino a che non comprende la profondità dei suoi sentimenti e se ne innamora a propria volta. Il ruolo è appannaggio di un soprano lirico-leggero, dal canto agile e svettante, le cui caratteristiche vocali mettono in luce inizialmente una certa superficialità di Adina, ma nel finale diventano mezzo per esprimere la generosità dei sentimenti nati in lei per Nemorino. Chiave di volta della sua evoluzione interiore è l’andantino «Quanto amore», nel quale, con un tempo più lento e un canto più spianato del suo consueto, la ragazza prende atto di quanto Nemorino la ami. Proprio l’abilità con cui Donizetti pone gli strumenti della vocalità a servizio della psicologia del personaggio, che di per sé sarebbe abbastanza schematica, dà vita a una figura particolarmente viva e interessante. Pochi giorni fa è stato rappresentato «Rigoletto» di Giuseppe Verdi (1851), la cui protagonista femminile, Gilda, è a sua volta un soprano lirico-leggero. Tuttavia, al di là della giovane età e del tipo di vocalità, Gilda ha assai poco in comune con Adina, della quale si pone pressoché agli antipodi: è una ragazza ingenua, inesperta della realtà del mondo in cui vive, perché di fatto confinata dal padre in una sorta di reclusione domestica, ma assai consapevole dei propri sentimenti, per i quali è disposta a sfidare le convenzioni e a sacrificare la vita. Alla leggerezza sognante e spensierata di «Caro nome», nel primo atto, si contrappone la determinazione con cui Gilda si accosta al grido di vendetta del padre con una richiesta di perdono, per giungere all’ultima scena, nella quale la leggerezza del suo canto diventa etereo distacco dal mondo al momento della morte. Infine, nella «Dama di picche» di Petr Il’ic Cajkovskij, che sarà proposta nel mese di aprile, vi sono almeno due figure femminili che si possono considerare protagoniste. Titolare di nome, e fondamentale dal punto di vista drammaturgico, benché il suo impegno vocale sia piuttosto limitato, è l’anziana contessa, soprannominata “Dama di picche”; ma vera eroina melodrammatica della vicenda è Liza, nipote della contessa, che vive una storia di passione esasperata che la porta alla disperazione e al suicidio. Due donne che rappresentano generazioni ed epoche diverse, incarnate da tipi vocali contrapposti: l’anziana contessa è un mezzosoprano umbratile con sfumature fataliste, severa e distaccata nel suo breve dialogare, ma capace di abbandonarsi alla grazia di una melodia settecentesca quando si lascia andare ai ricordi; Liza è un animo romantico e passionale, incarnato da un soprano lirico-drammatico che si esprime in arie dalla struttura libera, come incontrollati sono la sua immaginazione e il suo slancio emotivo. Due donne diverse per carattere e per ideali, ma entrambe forti e determinate a vivere e a morire fedeli a sé stesse.

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