Cosa accomuna due monumentali scrittori come Graham Greene e Raymond Chandler a un pittoresco castello dell’XI secolo di origini etrusche, appoggiato su di una conca benedetta dal clima ai piedi del Monte Amiata, in località Seggiano? E i romanzi della saga di Harry Potter e Twilight (tanto per rimanere sul noto) ai rari vigneti di Pinot Noir aggrappati alle colline meno dolci della Maremma?
Un fratello e una sorella. Inglesi, of course. Alexander Greene e Charlotte Horton-Greene, pronipoti del grande narratore di Berkhamsted, acquistarono più di vent’anni fa il Castello di Potentino dopo aver venduto a un’icona del vino toscano come Biondi-Santi un altro castello, quello di Montepò a Scansano. Alexander è stato seduto per anni ai piani alti della casa editrice Little, Brown Book Group, che pubblica appunto autori da milioni di copie come J.K. Rowling, Stephanie Meyer e Patricia Cornwell, e ha creato un fortunatissimo blog letterario chiamato “The Literary Connections”, lui che di connessioni letterarie se ne intende eccome, visto che sua nonna Helga fu la compagna di Raymond Chandler, il padre del giallo hard-boiled all’americana di cui Alexander è divenuto poi curatore testamentario.
Sebbene la premessa sembri suggerire i più triti cliché (ricca ed elitaria famiglia britannica che si compra non uno ma due castelli in Toscana) non si pensi a un risultato finale nella scia oleografica di film alla James Ivory o di best-seller patinati come “Sotto il sole di Toscana”. Anzi. Ci sono voluti dieci anni di restauro per ridare abitabilità e stabilità strutturale a un rudere seppellito da rovi ed erbacce e frazionato in 22 proprietà diverse (il primo documento che lo menziona è del 1042); oggi Potentino appare sì imponente ma tutt’altro che lezioso, circondato da una campagna lussureggiante e raggiungibile solo con una strada bianca, pur breve e poco impegnativa.
Tutto intorno, ulivi secolari, frutteti, vigne; ben nascosta, una discreta ed elegante piscina (il Castello ovviamente offre ospitalità ed è un vivace centro culturale dove si realizzano mostre, concerti, serate enogastronomiche, eventi e tanto altro).
Charlotte è la winemaker, padrona di casa elegantissima e del tutto priva di supponenza la cui conversazione brillante e ironica – che immaginiamo sia espressione anche della “vita precedente” come editorialista di Vogue – accoglie per prima chiunque varchi la soglia di Potentino, soglia – unica nota bizzarra – su cui campeggia un minaccioso cartello che avvisa della presenza di due cani liberi e che invita a “Citofonare anche se il cancello è aperto”; una foto ritrae due giganteschi alani arlecchino dal cipiglio fiero e imperscrutabile… poi scodinzolano fuori una labrador marrone paciosa e un Jack Russel sbarazzino che non degna gli umani nemmeno di uno sguardo. Humor britannico, ecco.
Castello di Potentino (www.potentino.com) è un’azienda prevalentemente vitivinicola (anche se produce olio da olivastra seggianese e con le vinacce residue manda a distillare una grappa e uno straordinario gin con le botaniche toscane che circondano il castello); appena quattro gli ettari di vigneto da cui si ricavano otto etichette, cinque rossi, due rosati e un bianco quasi “orange”, da tre uve vinificate in purezza: il Sangiovese toscano, ovviamente, e i meno consueti Pinot Noir e Grenache, qui chiamato Alicante e che altro non è che l’ancestrale e indomito vitigno sardo Cannonau. Il microclima è unico: la protezione del Monte Amiata si combina alle correnti marine che si spingono verso la Maremma litoranea e assieme permettono escursioni termiche quasi da deserto, mentre il sottosuolo ricchissimo di acqua concentra il patrimonio minerale dei vecchi strati marini con quelli vulcanici e calcinosi depositati nei secoli.
Il risultato in bottiglia parla di vini di grande territorialità, minerali, gradevolissimi da bere e allo stesso tempo innervati da uno spessore identitario vigoroso; sono tutti etichettati come IGT, a bassissima solforosa aggiunta e ancor più bassa resa per ettaro.
Il bianco da Pinot Nero “Lyncurio” è spiazzante: sapido, teso e freschissimo. Charlotte suggerisce di abbinarlo alle ostriche. Chi siamo noi per darle torto? Appunto. Il rosato “Almandino” di Alicante è carico di colore, matura solo in acciaio e rilascia un effluvio di spezie e frutta esotica.
Poi arrivano i rossi: “Balaxus” è Alicante di strepitosa acidità, variopinto e bilanciato, mentre il Pinot Nero “Piropo” è Borgogna pura in Maremma, carico, speziato, terragno. L’etichetta icona del Sangiovese è il “Sacro Monte”, complesso, poliedrico, ricco di sfumature decisamente insolite per il territorio che lo rendono adatto all’invecchiamento evolutivo. A lui si è aggiunto il “Sacromontino”, in bottiglia da un litro con tappo a corona, sei mesi di acciaio e stop; omaggio al mitico – e a volte mitizzato a sproposito – “vino del contadino” che Charlotte ha imparato ad apprezzare appena arrivata in Toscana grazie ai contadini che le hanno insegnato tutto. Dieci euro per una bottiglia che riconcilia con la bevuta senza l’agonia della scheda di degustazione, piuttosto che la caccia agli aromi terziari o alle similitudini più esoteriche. Perché, come spesso ammonisce un vignaiolo leggendario dell’Oltrepò pavese, il Comm. Lino Maga del rosso Barbacarlo, “ogni tanto bisogna ricordarsi di dire che il vino sa anche di vino”. Dunque, “Cheers” a Charlotte e Alexander!