Tarda primavera, stagione di gite fuori porta e scampagnate all’aria aperta. Per gli appassionati di un certo girovagare lento, magari a bordo di un sidecar, così elegantemente retrò. Proprio come il cocktail ad esso ispirato, un classico della miscelazione colpevolmente relegato alle seconde linee delle preferenze che ci piacerebbe venisse riscoperto nella sua reale grandezza: il sidecar, appunto, un fuoriclasse tra i fuoriclasse, con lo charme di Cary Grant in “Caccia Al Ladro” di Alfred Hitchcock e il temperamento incendiario di Marlon Brando in “Fronte del Porto” dell’altro gigante di Hollywood, Elia Kazan. Delle origini del drink sembra non si riesca ancora oggi a dipanare con sufficiente chiarezza il mistero, e anche sulle proporzioni dei suoi ingredienti – Cognac, Triple Sec, Succo di limone – continuano spinosi confronti tra la scuola francese e quella anglosassone, la prima dedita al culto della Santa Trinità in perfetto equilibrio, la seconda che privilegia lo Spirito Santo alias il cognac. Per tacere delle numerose varianti che hanno spinto qualcuno a definire questo cocktail una versione a base cognac del Margarita o del Daiquiri. La teoria più accreditata oggi dagli storici dei cocktail fissa la sua creazione tra il 1919 e il 1920, ed è una teoria basata sostanzialmente sul fatto che i primi due manuali di drink in cui ne comparve la ricetta furono la prima edizione dell’ “Harry’s ABC of Mixing Drinks” di Harry McElhone (pubblicato nel 1919) e “Cocktails: how to Mix Them” del francese Robert Vermeire, pubblicato la prima volta nel 1922. Nelle note della ricetta presenti in entrambi i libri, McElhone prima e Vermeire poi concordarono nell’attribuire la paternità del cocktail al barman Patrick McGarry del celebre Buck’s Club di Londra, circolo per gentiluomini fondato dal Capitano Herbert John Buckmaster, alto ufficiale della Cavalleria delle Guardie Reali che aveva aperto il club nel giugno 1919 con l’obiettivo di creare un ambiente confortevole – e più informale degli omologhi londinesi del tempo – dedicato principalmente ai reduci della Prima Guerra Mondiale. In quegli anni la storia che circolava con più insistenza sulle origini del nome riportava a cavallo della Grande Guerra, quando un ufficiale americano di stanza a Parigi sembrava fosse solito raggiungere per un drink il bar del Chatham Hotel su un rombante sidecar; lo parcheggiava nel dehor del locale e poi ordinava una propria variazione sul White Lady creato da McElhone; al posto del gin il cognac, il liquore francese per antonomasia. Su un quotidiano del 1923 – nella stessa edizione in cui si presentava al mondo anche un altro leggendario cocktail di McElhone, il Monkey’s Gland – si spiegava il nome “Sidecar” con il fatto che il drink fosse così potente da riuscire a “portarti in sella a fare un giro”. Il 1923 è un anno cruciale per il nostro elegantissimo cocktail color dell’oro; fa infatti la sua comparsa anche nella drink list del bar parigino più lussuoso del tempo ovvero quello dell’Hotel Ritz. Dietro il bancone in Place Vendome mescolava alcolici Frank Meyer. Da questo momento in avanti qualcuno pensa che in realtà l’invenzione del Sidecar debba ascriversi proprio al tempio del lusso parigino, da cui sarebbe poi migrato, divenendo definitivamente famoso, all’Harry’s New York Bar di rue Daunou 5. Sebbene oggi si possa affermare con discreta certezza che al Ritz di Parigi il Sidecar fu inventato solo nelle sue formulazioni più costose ed esclusive (l’head barman dell’Hemingway Bar, Colin Peter Field, propone tuttora una miscela di cognac pre-fillossera tra cui dei Remy Martin del 1813 – 1834 e 1853 e Cointreau centenari che fanno schizzare il prezzo del drink a cifre impronunciabili), Harry McElhone ci mise del suo a confondere le carte quando in una ristampa successiva del suo “ABC of Mixing Drinks” si attribuì la creazione del cocktail e per aggiungere un tocco di credibilità a questa sfacciata giravolta la infiocchettò con un aneddoto avente per protagonista un anonimo cliente che, dopo averne bevuti parecchi al cospetto di Harry, rimontò in sella sul suo sidecar per andare miseramente a schiantarsi ubriaco fradicio su alcuni tavolini in vetro del dehor. Questa è la versione diciamo di “ritorno”, perché in realtà ce ne sarebbe anche una per così dire di “andata”, ovvero – sempre secondo una testimonianza attribuita a McElhone – quella che racconta di un cliente che stava raggiungendo il bar di Harry a bordo del suo sidecar e che improvvisamente perse il controllo frantumando alcune vetrine del locale. Entrò incolume e sotto shock, si scusò e chiese un cognac per rimettersi dallo spavento; il barman gli preparò la pozione magica e decise di chiamarla così in memoria del piccolo incidente. Leggende.
Come quella del Sidecar e delle sue diverse interpretazioni classiche: la scuola francese propose fin da subito uguali proporzioni di tutti gli ingredienti, quindi: 3 cl di Triple Sec – 3 cl di Brandy o Cognac – 3 cl di succo di limone fresco. Agitare in uno shaker colmo di ghiaccio e filtrare in una coppetta da cocktail. Nessuna guarnizione è prevista, ma nella tradizione contemporanea è ormai tollerata la scorza di limone. Questa è la ricetta che proposero nei rispettivi manuali sia McElhone sia Vermeire; poi Frank Meyer al Ritz sconvolse le proporzioni a favore del cognac, probabilmente per andare incontro ai gusti dei numerosi e facoltosi clienti americani habituè dell’albergo e soprattutto del suo bar: 4.5 cl di cognac – 2.5 cl di Triple Sec – 1.5 cl di succo di limone fresco. Si intuisce come la grandezza del Sidecar stia proprio nelle possibilità di modificare le proporzioni per ottenere il bilanciamento preferito: se è troppo forte si diminuisce il cognac, se è troppo dolce basta aumentare il succo di limone, se è troppo sour si alza la dose di Cointreau. Mica male no?
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