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sabato, Novembre 9, 2024

    Il 50 %

    Non che ci volesse la sfera di cristallo per prevedere i risultati delle elezioni europee: si va a destra, con tenacia, direi ostinazione, nonostante il già visto, nonostante si conosca già quella certa aria mefitica.
    Da noi anche il fantasma di Pierlui si è messo a soffiare a favore di questa sterzata, e all’estero, ciò che meraviglia, è che questa ondata sia molto sentita proprio nei paesi dell’ex  Patto di Varsavia. Non c’è nulla da fare. Evidentemente è quasi impossibile rinunciare a un certo stile di vita: che poi il potere passi dalla bandiera rossa a un fascio littorio poco importa; conta oscurare la ragione, tifare per coloro che minacciano, urlano più forte, promettono l’impossibile. Solo così una certa parte delle persone si sente tranquilla. Gli occorre il cane da pastore che sistema, ordina, muove tutto e tutti e il gregge prosegue compatto senza pensare o dover fare scelte.
    E sono gli stessi che danno delle pecore agli altri.
    Incredibilmente ormai il voto va là dove si strilla di più, dove lo spazio riservato al dialogo e alla ricerca di soluzioni per i veri problemi è praticamente azzerato.
    Eppure l’Europa ha scelto: quel modo di pensare, di vedere le cose è letteralmente tracimato.
    In quella Europa nella quale, seppur malata e con tanti problemi, resisteva un barlume di democrazia, ora si debbono fare i conti con gli estremisti, i violenti, gente comunque fortemente voluta da chi si è recato alle urne. Pochi.
    Ci torniamo tra poco.
    Non c’è Paese in cui la destra non abbia fatto il pieno o quasi: qui da noi, in una nazione che sta soffrendo sotto ogni punto di vista, vedere sul carro del vincitore personaggi impresentabili, abituati a dire “sono sereno, ho fiducia nella giustizia” o “siamo abituati ai forni crematori”  fa molto male.
    Almeno a me.
    Anche Olanda, Austria, Francia, hanno scelto la deriva a destra, forse per andare a braccetto con uno come Orban, da molti ritenuto un democratico: così democratico da ospitare il raduno neonazista del “giorno dell’onore”. Praticamente accolti come figli.
    Mi ha sorpreso la Francia: l’ormai consunto Macron ha avuto la prontezza di chiamare i Francesi al voto a fine giugno. Volete la destra di Marine Le Pen? Allora alle urne: detto fatto. Però poi non venite a lamentarvi.
    E da noi? La faccia del Vespone a Porta a Porta era un’ espressione di godimento, e lo stesso per gli altri seduti al tavolo a festeggiare la vittoria: promesse sulla sanità come mai ne ho sentite, il lavoro che a detta loro va a gonfie vele, e via di questo passo.
    Il tutto condito col sorriso beffardo del padrone del vapore.
    Nessuno di questi tacchini col petto gonfio è interessato al fatto che qui il lavoro sia povero, precario, che un qualunque genere merceologico ormai costi tanto, troppo, che ricerca e cultura abbiano mestamente ceduto il passo ai social e alla diffidenza, al negazionismo di tanti, che la mia ignoranza conti quanto il tuo dottorato di ricerca.
    Quanta gente invece di guardare le scie chimiche, i metalli pesanti della sabbia arrivata con i venti ed è ancora lì a occuparsi dei vaccini, avrebbe potuto, dovuto leggere, capire, studiare, farsi delle idee.
    Provo rabbia nei confronti  di coloro che si vantano di non essersi mai recati alle urne, che ammettono di non conoscere la politica attuale e i suoi componenti, che si giustificano col fatto che tanto sono tutti uguali e tutti rubano. Vero: se ne salvano pochi probabilmente, ma almeno provare anche col meno peggio, quello che forse voti turandoti il naso, almeno tentare!
    Tempo fa ho ascoltato, mio malgrado, un commento di Italo Bocchino, ormai praticamente assunto con contratto indeterminato da LA7: la gente  (il 50%) non ha votato perché sa che la nostra democrazia è stabile.
    Ora, di fronte a una affermazione del genere, cascano le braccia. Anche il resto.
    La democrazia è ciò che di più fragile si possa immaginare: ha la consistenza di una bolla di sapone.
    Votare, come si dice sempre, è un diritto, ma anche un dovere. Deridere il proprio vicino, che con la scheda elettorale si sta recando ai seggi, pensando di essere i più furbi, è un atto grave, e dimostra poca cultura; lamentarsi poi a cose fatte lo è ancor di più.

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    Luciano Simonetti
    Luciano Simonetti
    Sono Luciano Simonetti, impiegato presso una azienda facente parte di un gruppo americano. Abito a Caselle Torinese e nacqui a Torino nel 1959. Adoro scrivere, pur non sapendolo fare, e ammiro con una punta di invidia coloro che hanno fatto della scrittura un mestiere. Lavoro a parte, nel tempo libero da impegni vari, amo inforcare la bici, camminare, almeno fin quando le articolazioni non mi fanno ricordare l’età. Ascolto molta musica, di tutti i generi, anche se la mia preferita è quella nata nel periodo ‘60, ’70, brodo primordiale di meraviglie immortali. Quando all’inizio del 2016 mi fu proposta la collaborazione con COSE NOSTRE, mi sono tremati i polsi: così ho iniziato a mettere per iscritto i miei piccoli pensieri. Scrivere è un esercizio che mi rilassa, una sorta di terapia per comunicare o semplicemente ricordare.

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