L’omicidio dell’ingegner Erio Codecà

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Archeo-NoirPrima puntata

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Era il 1952 e gli echi della guerra non si erano completamente spenti, almeno per una parte degli italiani. Soprattutto, non si era esaurito quel carico di odio che aveva alimentato tante azioni post-liberazione, forse più simili alla vendetta che al desiderio di un futuro democratico.

L’omicidio dell’ingegner Erio Codecà va posto nel vortice di una violenza politica che a Torino, nei decenni successivi alla liberazione, raggiungerà vertici inimmaginabili. Quello di Codecà può essere considerato il primo crimine di banditi abili a nascondersi dietro il paravento politico, ma di fatto incapaci di innalzarsi dal loro stadio di delinquenti comuni.

Con la morte di quest’uomo si può quindi fissare l’inizio di quella strategia della violenza che accese un fuoco tra le classi operaie cercando di trasformare tutto in ideologia, provando a contrassegnare con il marchio del male assoluto chi si trovava dalla parte opposta.

Allora, per qualcuno c’era ancora la prospettiva di avvalersi del retaggio della lotta partigiana: un passaporto che alcuni sfruttavano a proprio uso e consumo, quasi come mezzo per garantirsi una sorta di impunità giuridica, ma soprattutto etica e morale.

La rivoluzione lascia sempre degli strascichi. Ma soprattutto degli orfani…

Però il 16 aprile 1952, in via Villa della Regina, a Torino, sembrava regnasse la pace: forse solo apparente, ma in quell’angolo della città la vita scorreva con meno clamore, quasi sottovoce. Complici le case basse, poche comunque, e poi, soprattutto, la collocazione sulle prime pendici della collina, in mezzo al verde. Un mondo a parte, a due passi dal centro: infatti da questa strada, in salita, si domina piazza Vittorio Veneto e il primo tratto di via Po, il ponte napoleonico e la chiesa della Gran Madre, un po’ arrogante nella sua veste neoclassica che occhieggia al pantheon romano con un malcelato complesso di inferiorità.

Quel punto, di fatto, divide la città: da un lato, in quella parte che si inerpica sulla collina, con la sua arteria principale costituita da via Villa della Regina, abitano le persone appartenenti a una categoria socio-economica elevata e alcuni nobili. Dall’altro lato ci stanno tutti gli altri.

Da sempre, in fondo, la collina, è il luogo dei “ricchi”, quasi come se all’ascesa della scala sociale corrispondessero esigenze abitative direttamente proporzionali al livello del mare.

E così, per certa gente, diventa automatico odiare chi abita in un certo luogo solo perché quel luogo, secondo la retorica dell’abitare, è privilegio di pochi, quasi sempre benestanti.

Erio Codecà era uno di questi fortunati: un uomo che aveva raggiunto una posizione di rilievo in seno all’azienda più importante d’Italia: era un funzionario della Fiat Spa e quel 16 aprile 1952 lasciò l’ufficio aziendale di corso Ferrucci intorno alle 18,30, per dirigersi verso casa.

Non aveva fretta perché la sua famiglia, composta dalla moglie Elena Piaseski e dalla figlia Gabriella, era nella loro casa di Rapallo, in Liguria, per un breve periodo di vacanza.

Oggi, per andare da corso Ferrucci a via Villa della Regina n. 24, a quell’ora, sarebbe necessario un sacco di tempo, soprattutto per attraversare il fiume: ma allora, le automobili in giro erano ancora poche, così Codecà in meno di mezzora raggiunse la sua abitazione. Non ebbe neppure alcuna difficoltà per posteggiare, ovviamente.

La vita d questo funzionario era tranquilla, si occupava di aspetti tecnici e soprattutto era lontano dalla politica, inoltre era ben voluto da tutti; con i sindacalisti non ebbe mai problemi, quindi mancavano, apparentemente, i motivi per considerare Codecà una persona a rischio.

I tempi non erano certamente buoni: il braccio destro di Agnelli, Vittorio Valletta,  aveva ricevuto delle minacce e quindi si muoveva con la scorta, ma Codecà no, lui non rischiava. Purtroppo le cose andarono diversamente.

Nel suo passato nessuna ombra: prima la direzione della filiale Fiat in Romania, poi, nel 1935, un incarico prestigioso nella filiale di Berlino, fino al 1943; al rientro in Italia, durante il periodo bellico, Codecà diresse il laboratorio sperimentale e in seguito raggiunse incarico di direttore generale della Fiat Grandi Motori. Insomma, aveva fatto carriera, ottenendo riconoscimenti importanti che di conseguenza avevano determinato diretti effetti sul suo status sociale ed economico.

Tutto ciò, è ben noto, per qualcuno può essere una “colpa”, un’occasione di odio di classe; un’opportunità per miscelare l’invidia e la stupidità con i deliri ideologici. Se poi l’odiato abita in collina, per lui non ci saranno attenuanti…

Appena giunto a casa, Codecà avvisò la domestica, Rina Bacilieri, che intendeva bagnare il giardino prima di cena: comunque fu un’operazione rapida e ben presto l’ingegnere si accomodò a tavola. Dopo aver mangiato, telefonò alla moglie e, intorno alle 21.00, uscì in giardino con Cocki, un cocker bianco e nero, a cui era molto affezionato.

In quel preciso momento è possibile che Codecà avesse cambiato i propri programmi: infatti rientrò in casa, prese il guinzaglio per il cane e uscì in strada raggiungendo la sua auto, una Fiat 1100E, posteggiata sul lato opposto alla casa. Trascorse una manciata di minuti e il silenzio fu infranto da uno sparo , sulla base delle testimonianze raccolte l’omicidio avvenne alle 21,07…

( Continua)

 
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