Giuseppe Chiabotto, semplicemente un eroe

Nell’inferno della prima guerra mondiale fu insignito di due medaglie d’argento

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Questa storia sulla prima guerra mondiale ci riguarda da vicino, ha la sua fonte sul libro La Brigata dl Piave di Schiapparelli, una pubblicazione dell’Istituto nazionale delle biblioteche dei soldati, che incentra il suo racconto sulla difesa del’8^ Compagnia del 3° Battaglione del 13° di Fanteria Pinerolo a Cima Ekar comandata da Bruno Gemelli. E lo fa col racconto che segue, scritto dal casellese Giuseppe Chiabotto, al quale fa questa premessa:
“Ma prima domandiamoci che è questo Chiabotto? È un veterano del Carso e del glorioso 13° (Pinerolo) e si è guadagnato una prima medaglia d’argento nell’inferno di Castagnevizza (nell’alto Isonzo, oggi Slovenia) e una seconda, sempre d’argento a Cima Ekar (altopiano di Asiago).
“È un contadino di Caselle Torinese – continua Schiapparelli – e non può essere un letterato; è uno di quei soldati che fanno tutta la guerra con coscienza, ed il suo brillante stato di servizio lo dimostra. Un giorno che era in licenza a Torino, trovandosi su di un tram ed udendo una persona deridere l’esercito lo prese per il colletto e lo buttò giù dal carrozzone. Semplicemente! “
Ma ecco il racconto, che è un reale, storico, in cui rifulge la bella figura del capitano Bruno Gemelli e quella piena di energia di Giuseppe Chiabotto. Ecco quindi il racconto integrale fatto dal nostro eroe sulla battaglia della Cima Ekar.
“La sera del 14 giugno del 1918, l’8° Compagnia comandata dal capitano Gemelli ebbe l’ordine di dislocare i plotoni nelle gallerie di Cima Ekar. Il mio plotone e quello del tenente D’Alfonso, il 4°, siamo andati nella galleria dell’osservatorio dell’Armata con il comando di difendere la Cima, nel tratto assegnato.
Alla mattina del 15, alle ore 3, il nemico iniziò il bombardamento con cannoni d’ogni calibro, specialmente col 420 che tempestò sulla Cima per 5 ore, riducendola a un masso di macerie fumanti. Nella galleria in cui mi trovavo con i miei uomini il 420 la fece crollare, rimanendo sotto 40 e più soldati; un’altra galleria dove c’era il 2° fu distrutta, rimanendo il plotone annientato, alla fine del bombardamento restarono vivi solo una trentina di soldati. Alle 8 del mattino mi sembrava che il nemico avesse allungato il tiro: di mia iniziativa mi portai fuori, in punto elevato, vidi gli austriaci che avanzavano, plotoni affiancati, facendo uso di liquidi infiammanti allora mi precipitai in galleria gridando: “Fuori, ragazzi, che il nemico sta avanzando!”
Ecco che i fanti uscirono seguendomi; gli disposi in difesa approfittando delle buche dei 420 che ancora fumavano, intanto l’artiglieria nemica faceva ancora fuoco intenso.
Il tenente D’Alfonso si portò pure lui con i pochi uomini rimasti e abbiamo aperto il fuoco di fucileria finché il nemico era ancora distante, poi quando l’abbiamo avuto ai reticolati, che avevamo aggiustati al meglio, ci siamo portati tutti in piedi con le bombe a mano che tiravamo in mezzo al nemico che tentava di sopraffarci. Siamo riusciti a respingerlo lasciando mucchi di cadaveri. Passando una mezz’ora ecco che il nemico tenta di nuovo, con più forze ancora, ma noi più inferociti di prima gli abbiamo di nuovo respinti, però lottando più di un’ora, e così durò per otto ore di continui attacchi.
I fucili erano roventi, non resistevano più nelle mani, abbiamo preso quelli dei morti e dei feriti, così quando un fucile era caldo lo cambiavamo prendendone un altro. Il mio capitano signor Gemelli venne dagli altri plotoni dicendomi: ”Chiabotto, coraggio, guardiamo di resistere”– Sì, – gli risposi – qui si rimane o vivi o morti, però abbiamo bisogno di munizioni”. Le avevamo quasi esaurite anche perché il bombardamento austriaco ne aveva distrutte molte e per questo richiedevamo rinforzi d’urgenza: ci vedevamo sopraffatti da un momento all’altro; ma il 3°battaglione, che è il mio, si trovava sul versante della Cima e l’artiglieria nemica batteva così intensamente che il rinforzo non poteva raggiungerci; con gli stenti gli aiuti potevano arrivare dopo otto ore di combattimento, lasciando già molte perdite strada facendo.
Quando giunse il rinforzo allora abbiamo contrattaccato con la mia Compagnia e la 9° e qualche superstite del 14°, riuscendo a riconquistare una nostra sezione mitragliatrici, poi essendo circondati da molte forze nemiche ci siamo persi.
Allora abbiamo lottato corpo a corpo con bombe, baionette e quello che si poteva, riuscendo io, il mio capitano e qualche soldato a liberarci, uccidendo parecchi nemici; e così, a sbalzo, combattendo sempre corpo a corpo siamo arrivati dove c’era la 7a Compagnia disposta in difesa.
Allora il nemico fu combattuto, benché gli ufficiali austriaci facessero uso del bastone per far venire avanti, a tutti i costi, i loro soldati. Lasciò morti e morti. Intanto verso notte arrivarono gli altri due Battaglioni che ci davano il cambio e i pochi della mia Compagnia ci siamo portati in seconda linea, dove siamo rimasti tutta la notte. Alla mattina del 16 portai il nome dei soldati della mia Compagnia al capitano. Eravamo ancora tredici, su trecento; ufficiali tutti fuori combattimento, salvo il mio capitano.
Verso le nove ci arrivò il rancio e viveri di conforto. Allora mi misi a distribuirli tanto per uno, che dopo 24 ore più di combattimento eravamo stanchi, avevamo fame e sete, eravamo laceri e strappati che non ci conoscevamo più l’uno con l’altro. Mentre stavo per distribuire i viveri arrivarono altri sette soldati della mia Compagnia che sono stati prigionieri il giorno prime del contrattacco, quando io e il capitano siamo riusciti a non lasciarsi catturare; così pure loro, benché sotto il tiro di mitragliatrice sono riusciti a ritornare nelle nostre linee. Così eravamo poi venti, su trecento.
Verso le ore 13 il nemico fece di nuovo successivi attacchi, allora ci siamo portati in difesa sotto il tiro incessante delle artiglierie nemiche. Quando stavo vicino al mio capitano per farmi dare bombe a mano, una scarica di artiglieria ci bersagliò, ed un colpo ci prese in pieno, rimanendo ambedue feriti. A me spaccò un ginocchio e mi produsse diverse ferite ai piedi, il capitano invece è rimasto gravemente ferito ed è tuttora mutilato.
Appena rimasto ferito mi alzai, dopo lo sbalordimento, mi guardai, il sangue scorreva per le gambe, le scarpe spaccate, allora mi misi a correre e dei soldati mi seguirono, allora dovetti fermarmi gridando: “Ragazzi, fermatevi, state al vostro posto, che io sono ferito”. Allora ognuno si portò in combattimento. Un porta feriti venne a soccorrermi, dopo che già mi mancavano le forze e ordinai ad altri che andassero a prendere il capitano che non sapevo se era morto o ferito. Condotto al posto di medicazione insieme al capitano , che mi diceva “Chiabotto, coraggio!” ed io contraccambiavo, ancora abbiamo gridato insieme “Viva l’Italia”. È poi siamo stati medicati al posto di medicazione del Battaglione. Venne il comandante del Battaglione maggiore d’Orazio, che mi baciò dicendomi: “ Bravo, sarai ricompensato”. E così mi fu concessa la medaglia d’argento al valor militare, che è la seconda”.
Finisce qui il racconto di guerra del casellese Giusppe Chiabotto, un fante della classe 1888, maresciallo maggiore, promosso aiutante di battaglia per meriti di guerra, due medaglie d’argento al valor militare, cavaliere di Vittorio Veneto. Da solo col suo racconto ancora vivo, nella sua semplicità dà un’idea sconvolgente e tragica del dramma vissuto da lui e da altri milioni di soldati le cui vite, come in un verso di Ungaretti, stavano come d’autunno sugli alberi le foglie. Qui non ci sono né vinti né vincitori., c’è solo tutta la crudeltà della guerra, di tutte le guerre compresa quella in corso tra Russia e Ucraina.
In appendice annotiamo che la Cima Ekar, il luogo della battaglia di cui parla Giuseppe Chiabotto, è un dorsale che con i suoi 1366 metri è la più alta dell’altopiano di Asiago, in provincia di Vicenza. Oggi è dotata di sciovie ed è sede di un importante Osservatorio Astronomico. Da ricordare anche che con il 13° Reggimento della Brigata di fanteria Pinerolo” da quelle parti c’era anche il 14° nella battaglia di giugno.

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