È una storia che sa di futuro e di speranza, che allieta i cuori e ti aiuta a credere che, finché ci saranno giovani come Giulia, un altro mondo è davvero possibile. Nonostante i suoi 26 anni, Giulia Castiglione, giovane dottoressa casellese , ha già percorso molte strade e condiviso valori importanti. Per lei essere medica (termine caduto in disuso ma che va ripristinato) è stata ed è una scelta di vita.
“Studiare medicina – racconta Giulia- era il mio sogno fin da quando bambina: mi divertivo a curare i miei pupazzi malaticci. Nel 2017 questo sogno ha cominciato a prendere forma. Superato il test d’ingresso a Torino, in base alla graduatoria, sono stata destinata all’Università di Perugia, così mi sono trasferita in Umbria, con sede definitiva a Terni. In questa splendida cittadina ho trascorso i 6 anni di studio: fantastica esperienza di vita, dove mi sono sentita accolta e ho costruito la mia prima comunità fuori dalla famiglia. Sono una “cittadina del mondo”, amo viaggiare e conoscere luoghi e culture diverse, per cui, quando al quinto anno d’università, mi è stata data la possibilità di partire per la Romania con l’Erasmus, ho colto l’occasione al volo. Ho vissuto per un anno a Cluj-Napoca, una piccola cittadina del nord-ovest, in uno studentato insieme a studenti provenienti da tutta l’Europa. Ho fatto mie l’autenticità di questi luoghi ancora prevalentemente rurali, in cui il tempo sembra essersi fermato, con la convivialità delle persone e la bellezza delle tante feste tradizionali. Anche quest’esperienza mi ha aiutato a crescere e a formarmi come persona, ma mi sono sempre domandata che medica avrei voluto essere , e la mia risposta è sempre stata: vorrei assomigliare al Dottor Bellando, che è stato il mio pediatra da bambina. Ricordo le tante foto appese nel suo ambulatorio che raccontavano i suoi viaggi in Madagascar per aiutare i bambini con l’associazione Nutriaid da lui fondata, la sua umanità e la sua professionalità. Ecco, tutto questo è stato e continua a essere per me fonte di grande ispirazione. Così ho deciso che ero pronta a fare un’esperienza di cooperazione internazionale e ho inviato la mia candidatura a un’associazione di volontariato che si occupa di formazione per lo sviluppo in Africa: “Studenti senza frontiere”. Nel 2022 , dopo una formazione iniziale, sono partita per la Tanzania, in coppia con Agnese, una giovane antropologa che ho conosciuto in aeroporto. Io mi sarei occupata dell’aspetto sanitario, mentre lei avrebbe curato quello sociale. Ci tengo molto a sottolineare il principio base di questa associazione che io condivido in pieno, quello di promuovere progetti di cooperazione “peer-learning”, cioè di apprendimento alla pari, la reciprocità degli scambi è fondamentale: s’impara insieme mettendo in comune le rispettive competenze così da arricchirsi entrambi. Siamo state destinate a uno sperduto villaggio di 7000 abitanti, Mavanga, con intorno 60 chilometri di campagna. L’anima del villaggio era costituita dalla parrocchia, dove il parroco, un’autentica istituzione, ha costruito le scuole e un centro per la salute in cui noi volontarie operavamo insieme ai colleghi medici del posto. Nei nostri due mesi di permanenza abbiamo dovuto reimparare a vivere e abbandonare le nostre certezze. Eravamo le uniche due persone bianche del villaggio per cui, nonostante le nostre resistenze, venivamo trattate come privilegiate. Noi potevamo usufruire dell’acqua potabile, anziché andare a prenderla nel pozzo come consuetudine di tutto il villaggio, mangiavamo per prime al tavolo del parroco, invece che con le suore, insomma esiste anche un” razzismo” al contrario che è difficile da scalfire. Tutti i giovani parlavano l’inglese che viene insegnato a scuola per cui è stato facile comunicare anche se abbiamo dovuto imparare un po’ di Swahili, la lingua locale, per rapportarci con chi era più in difficoltà. Ho imparato tantissimo dai colleghi africani sia dal punto di vista umano che professionale: loro devono fronteggiare, nella quotidianità, malattie da noi meno frequenti come la malaria, l’HIV, la tubercolosi e lo fanno con competenze altissime. Si dice che le stelle dell’Africa attraversino gli occhi per raggiungere il cuore e rimanervi per sempre. Per la prima volta in vita mia, rientrando in Italia, ho sentito che invece di star tornando a casa, stavo “lasciando” un luogo a me caro, sono ripartita pensando a quando sarei tornata. Ho deciso di improntare la tesi di laurea proprio sull’esperienza medica in Tanzania, mi sono laureata e poi ho nuovamente cercato un’occasione che mi portasse in Africa. “Medici per l’Africa Cuamm” ha accettato la mia candidatura: è un’associazione più grande e più conosciuta ma che condivide lo stesso principio di una cooperazione internazionale alla pari che per me è fondamentale. Avrei dovuto partire per l’Etiopia ma, a causa della guerra, sono stata dirottata in Uganda insieme ad un’altra medica e a un’ostetrica per curare soprattutto l’aspetto della salute materna e neonatale. Anche quest’esperienza è stata intensa ed emozionante, questa volta sono stata ospitata nella casa del volontario, collocata all’interno di un ospedale di media grandezza in cui erano presenti il pronto soccorso, la maternità, la pediatria, la medicina interna e la chirurgia. Ho imparato come la maternità sia vissuta in maniera del tutto naturale: la sala-parto è un mondo al femminile, sono presenti 3 o 4 letti e le donne partoriscono tutte insieme circondate dalle donne della famiglia, aiutandosi a vicenda. Scegliere il nome del nascituro non è una priorità e può accadere che un bambino, nato prematuro, possa non sopravvivere perché la mamma è impossibilitata a recarsi all’ospedale più grande, che dista 60 chilometri, per acquistare il latte artificiale, avendo a casa altri 6 bambini da accudire e non disponendo del denaro necessario. Porto con me la grande umanità e solidarietà che ho trovato in Africa e se guardo al mio futuro non so ancora se diventerò pediatra o medica di Medicina Generale, certamente cercherò nella mia professione di mettere al centro la cura della persona nella sua interezza e complessità e, sono certa, l’Africa continuerà a far parte del viaggio della mia vita.”
“Nessuno educa nessuno, nessuno si educa da solo, gli uomini si educano insieme, con la mediazione del mondo”( Paulo Freire)