Noi? Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie, scomodando Ungaretti. Giusto così per rendere meglio l’idea.
Se già il recentissimo passato sembrava avere avuto il desiderio di risparmiarci nulla, ci abbiamo spaventosamente messo del nostro poi, facendo scelleratamente cadere il governo Draghi e mandando il Paese alle urne.
Quasi inutile ripetere, visto che tant’è, lo scoramento, ma proprio non si riesce a tacere. Momento peggiore per esonerare Draghi, non poteva esserci: via l’unico civil servant che poteva vantare presenza e statura di livello mondiale tale da poter essere comunque ascoltato, nonostante fosse il rappresentante d’un Paese che vanta quasi 3.000 miliardi di debito pubblico. Il suo governo a larghe intese e di salute pubblica, pur stando insieme a suon di infinita pazienza e iniezioni di bostik, era l’unico in grado di poter portare in porto le manovre che ci necessitano per uscire dal guano.
La perenne campagna elettorale che da trent’anni ci attanaglia ha fatto sì che, resuscitando Tafazzi, arrivassimo al punto di obbligare Draghi alle dimissioni e Mattarella allo scioglimento delle Camere.
Andare a elezioni con il famigerato e cervellotico “Rosatellum”, dopo aver votato la riduzione del numero di parlamentari, ha innescato meccanismi pietosi, dove l’unica cosa veramente evinta è quanto il popolo sia sempre meno sovrano, dato che l’attuale offensiva legge elettorale ci impedisce di scegliere i candidati e ci umilia con le candidature multiple.
Convincere la gente che andare a votare è più dovere che diritto, è cosa davvero ardua. E la campagna elettorale “ balneare”, di scarsissima qualità nella più parte dei casi, ha incentivato ulteriormente il malevolo pensiero di non esercitare il voto. Promesse irrealizzabili, litigi perenni tra sedicenti alleati, tutto e il contrario di tutto nelle coalizioni, hanno prodotto l’irresistibile tentazione di non appressarsi proprio alle urne. L’uso massivo dei social da parte dei candidati ha ingigantito l’effetto, mostrando l’inadeguatezza, l’incapacità d’uso, trattando gli elettori spesso come bambini: TikTok…Tac!
Astensionisti e indecisi, stando agli ultimi sondaggi apparsi, sono in forte crescita ed è fondata la preoccupazione di chi teme che in questa occasione il partito degli assenti tocchi e/o superi il 30%, diventando la prima forza di un Paese in fuga. Da chi, da cosa? Principalmente dal disgusto e in secundis dalla convinzione, sempre meno intima, che non serva a nulla. Più che mai il rischio d’una defezione di massa è reale, visto che è sempre più complicato convincere a votare il meno peggio, a turarsi ancora una volta il naso.
Ma dev’essere chiaro che l’astensione non è solo uno sfogo, un’espressione di malessere e di palese disinteresse: è molto, molto di più. È la firma su una cambiale “ in bianco” che può rivelarsi ben più che pesantissima. “ Non nel mio nome!” più che un grido di dolore è la certificazione della volontà di ambire a un masochistico desiderio di “ cupio dissolvi”, cercando di operare, attraverso il non-voto, il completo disfacimento del nostro Paese. Convolando verso la cecità assoluta, non esercitando il nostro diritto di voto, ci stiamo incaprettando da soli, ponendo le basi per allontanarci dalla democrazia, che sarà pure un sistema imperfetto, ma è l’unico che sappia garantire a tutti, proprio a tutti, libertà e uguaglianza. Ci si pensi bene prima di astenersi.