La primavera avanzata propone, una dopo l’altra, tre date sacrosante, tre punti nodali che dovrebbero servire a riaffermare chi siamo a da dove veniamo. Ma da un po’ di tempo non è più così.
Il 25 Aprile, più che la Festa della Liberazione dal giogo nazi-fascista, s’è trasformato, da che la destra è andata al potere, in qualcosa che è “ altro da sé”. Ottant’anni di riconquistata libertà non sono bastati a far sì che si riconoscesse fino in fondo il valore di chi combatté il male assoluto per restituire dignità al nostro Paese. Anzi.
Da tempo è in corso d’opera il tentativo di rimescolare le carte, di sciacquare la storia, di riscriverla: di fare in modo che vengano sminuiti i valori che incarnano questo giorno, scivolando verso una generica e annacquata “Festa della Libertà”, arrivando a giustificare chi stava dalla parte sbagliata.
Perché è bene proprio non confondere le cose: c’era una parte giusta e una sbagliata, e quella sbagliata sosteneva la dittatura, le leggi razziali, le deportazioni e la più insulsa delle guerre, quella che doveva sancire la grandezza d’Italia e finì col regalarci mezzo milione di morti e un Paese in rovina.
Eppure c’è chi ha tanta nostalgia, e a questi è perfettamente inutile continuare a chiedere se sono antifascisti, perché molto semplicemente non lo sono, né lo saranno mai.
A loro, però, si ricordino in ogni circostanza le parole di Vittorio Foa all’indirizzo di Giorgio Pisanò, il politico dell’allora MSI: “Se si parla di morti, va bene. I morti sono morti: rispettiamoli tutti. Ma se si parla di quando erano vivi, erano diversi. Se aveste vinto voi, io sarei ancora in prigione. Siccome abbiamo vinto noi, tu sei senatore. Questa è una differenza capitale”.
Giova non dimenticarselo. Mai.
Del 1° Maggio, della Festa del Lavoro, c’è poco da dire. Purtroppo.
Di quale lavoro o di quali lavori dovremmo parlare? Di quello che ogni giorno regala morte, di quello dei subappalti? Dello sfruttamento e delle paghe da fame? La cosa più straniante è stata ascoltare i discorsi ufficiali dei segretari delle sigle sindacali confederali per rendersi conto di quale sia la situazione.
Tranne il PD e la Sinistra, avanti anni luce in questo, non c’è nulla di più separato e diviso di CGIL, CISL e UIL negli intenti e nelle visioni. Alcuni passaggi sono apparsi lunari. Sindacati neppure sfiorati dall’idea di rischiare l’irrilevanza nella possibilità di difendere realmente i lavoratori; di essere nulli nelle scelte di indirizzo e di politica economica; tesi più a esporre ciò che divide una sigla dalle altre che a provare a capire ciò che è realmente il mondo dei lavori oggi.
Queste le premesse per giungere alla Festa della Repubblica del 2 Giugno, con il tarlo sempre più forte e chiaro che a questa Repubblica, nata dalla Resistenza e, come recita il primo articolo della Costituzione “ fondata sul lavoro”, qualcuno, più di qualcuno, voglia fare la festa.
Cosa si cela veramente dietro alle voglie di una non meglio definita “autonomia differenziata”? E a cosa tende veramente la storia del “premierato”?
Ma tutto sembra scorrere. L’imminente tornata elettorale sancirà una volta in più la vittoria dell’assenteismo e dei dispositivi che ci anestetizzano, il nuovo oppio dei popoli.
Mentre più d’uno spettro si aggira per l’Europa.
Quale festa? Quale lavoro?
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