Persino chi come me ritiene di vivere una vita tranquilla, riservata, immune dai germi fuorvianti del “gruppo a tutti i costi”, una vita avvolta in un suo privato lockdown… quando poi arriva il lockdown vero e proprio capisce che il distanziamento (detto erroneamente sociale ma in realtà fisico) è un ben duro boccone da mandar giù e che anche la “beata solitudo, sola beatitudo” di San Bernardo ha i suoi limiti. Il fatto è che quando una cosa ti viene proibita, istantaneamente desideri farla. Di continuo ti viene da pensare: “oggi avrei potuto fare questo o quello”, “domani andrei in quel posto, ma non posso”, “per il fine settimana si potrebbe… ma niente da fare”… Insomma, un tormento coi fiocchi! A lenirlo almeno un po’, per noi melomani, ci ha pensato la RAI, che come rimedio ha tirato fuori immani tesori dai suoi immani archivi, opere, balletti, concerti sinfonici o da camera, un ben di Dio mai visto tutt’insieme, pomeriggi, sere e notti vissute nella gioia di riascoltare esecuzioni memorabili.
Però non si può stare sempre con gli occhi fissi sul video. Per cui, alla fine, il rimedio più sicuro è risultato essere quello più classico e più antico, la lettura: che ti lascia gestire i tuoi tempi personali, scegliere i momenti da dedicarle, cambiare di stanza, luogo o posizione (si può leggere anche a gambe all’aria o testa in giù), e che non manca mai di far volare le ore in una straordinaria processione di magnifici istanti. E mi è andata bene che la mazzata del coronavirus sia giunta subito dopo Natale, quando avevo un bel po’ di libri regalati, a cui io stessa avevo aggiunto altri titoli, tutti lì che mi aspettavano, mucchietto vincente in attesa di poter essere divorato. Il primo su cui ho allungato la mano è stata l’interessante ricostruzione dei viaggi in Italia del piccolo Mozart fornitami su un vassoio d’argento da Sandro Cappelletto (“Mozart, scene da un viaggio in Italia”, Il Saggiatore, 2020).
La scrittura di Cappelletto, sempre accattivante, sta alla pari con la sua accuratezza storica e documentale. Scorrere con lui i 720 giorni che Mozart bambino e fanciullo, nel corso di tre viaggi, trascorse in Italia, è una miniera di informazioni non solo sul piccolo genio ma anche sulla società italiana dell’epoca: su 112 milioni di Europei, 15,5 di Italiani, bizzarri, originali, a volte eccessivi, ma non secondi a nessuno. E per il bambino che già aveva girato nel resto d’Europa, osservare coi suoi occhi ciò che avveniva nella “patria della musica” dovette sembrare l’inveramento di un sogno.
Il primo viaggio, il più lungo e articolato, durò oltre un anno, durante il quale il tredicenne visitò tutte le città italiane più importanti, fino a Napoli, mentre i due viaggi successivi, rispettivamente di quattro e cinque mesi, furono circoscritti al nord Italia. Nella prima fase, intesa dal padre Leopold come un approfondimento pedagogico, il giovane Mozart si tuffò a pesce in quel vasto laboratorio di idee: ascoltava, imparava, e intanto accumulava tesori per il futuro. La provvidenziale assenza della madre e la necessità di tenerla al corrente costringeva Lepold a scriverle lunghe e dettagliatissime lettere (motivo per cui su quei viaggi sappiamo tutto); spesso Wolfgang aggiungeva dei poscritti, sventagliate di battute esilaranti, salaci, e di rime bislacche in un curioso “mozartese” che mescolava tedesco e italiano. Scriveva musica a getto continuo, poi, per riposarsi, scriveva a lei, ma “a furia di scrivere le dita mi fanno un gran male, mamma.” Ci crediamo!
Un momento memorabile fu quello in cui a Lodi, il 15 marzo 1770 alle ore 7 di sera, su un suo quadernetto dalla copertina grigia il ragazzo approcciò per la prima volta, dietro stimolo personale e senza averne avuto commessa, l’arduo mondo del quartetto d’archi e compose il primo dei sei quartetti detti “milanesi”; ed è singolare che l’approccio sia avvenuto proprio qui da noi, in Italia, e nello stile dei Cambini e Boccherini. Molti anni dopo ricorderà “il quartetto che ho fatto a Lodi la sera alla locanda” come un momento magico della sua vita.
Con l’esecuzione di “Mitridate re di Ponto” e poi di “Lucio Silla”, due opere scritte appositamente per Milano, la sua fama si allargò anche al campo operistico. Ormai, a quindici anni, era capace di impressionare principi e ministri non solo per scienza musicale ma anche per “apertura di mente”. Sappiamo dei molti riconoscimenti ottenuti ai più alti livelli: papa Clemente XIV che lo fa cavaliere dello Speron d’Oro; Padre Martini dell’Accademia Filarmonica di Bologna che, dopo severo esame, lo “laurea”; l’anziano Adolf Hasse che, sgominato dallo sbarbatello, ammette “questo ragazzo ci farà dimenticare tutti quanti”… Eppure ciò che di più premeva a Leopold, ciò che era stato lo scopo dei tre viaggi – un impiego lucroso e stabile – quello non fu trovato da nessuna parte. Ora, congetturare su “quale Mozart” avremmo avuto se si fosse stabilito in Italia, è un interessante spunto di fantascienza musicale!