Prendiamo spunto da questa recente sentenza del Consiglio di Stato per analizzare le statuizioni in tema di obbligo di motivazione del provvedimento amministrativo gravante sulla pubblica amministrazione.
Innanzitutto, si evidenzia come tale obbligo trovi la sua fonte normativa, a livello nazionale, nell’articolo 97 della Costituzione e nell’art. 3 della Legge n. 241/90 sul procedimento amministrativo, mentre a livello comunitario, nell’art. 41 CEDU.
Queste fonti normative pongono l’accento sul fatto che, al fine di perseguire il buon andamento, la trasparenza e l’imparzialità della pubblica amministrazione, è necessario che le decisioni che essa adotta vengano motivate.
Ciò risponde sicuramente alla principale funzione di rendere conoscibili ai consociati le ragioni che hanno condotto l’Autorità amministrativa all’adozione di un determinato provvedimento e, non meno importante, consente ai soggetti attinti dall’atto di esercitare il proprio diritto di difesa. Questa seconda funzione può quindi definirsi endoprocessuale, poiché soltanto l’intelligibilità del provvedimento permette di confutarne il contenuto e, quindi, di difendersi.
Richiamando le esatte parole utilizzate nella sentenza, laddove la motivazione sia chiara, essa costituisce “il presupposto, il fondamento, il baricentro e l’essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo”, in grado di testimoniare il regolare svolgimento del procedimento.
Atteso che ogni atto adottato dalla pubblica amministrazione riguarda e può essere potenzialmente diretto nei confronti di ciascun cittadino, la motivazione serve lo scopo di garantire ai singoli soggetti colpiti dal provvedimento di partecipare al procedimento e di valutare l’azione amministrativa.
Senza qui poterci addentrare nella materia, ma è opportuno rammentare che negli ultimi anni, sia la dottrina che la giurisprudenza hanno progressivamente aperto ad alcune ipotesi di cd. “motivazione postuma” (precedentemente considerata inammissibile, quale vizio di violazione di legge), ossia l’integrazione in un momento successivo di una motivazione inizialmente assente o non sufficiente, così come alla motivazione cd. per relationem, ossia i casi in cui una motivazione sia in sé carente, ma le ragioni dell’adozione del provvedimento siano comunque desumibili da altri elementi ricavabili dagli atti del procedimento.
Con questa ulteriore pronuncia, la giurisprudenza amministrativa ha pertanto ribadito ancora una volta l’esigenza che la pubblica amministrazione non si sottragga all’obbligo motivazionale e che la motivazione sia chiara e intelligibile, così da non rifuggire al dovere di compiere tutti gli accertamenti del caso prima di assumere una decisione e, altresì, al dovere di porre il cittadino nella condizione di conoscere appieno le ragioni di quel provvedimento.
“Se ‘t-an punisse, almeno dime ‘l-perché”
Motivazione del provvedimento amministrativo
La sentenza del Consiglio di Stato n. 11222/2023
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