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mercoledì, Maggio 15, 2024

    Il mondo è bello perché… suona!

    In questo simpatico angolino in cui si parla di musica, più che di musica oggi parlerò di “come la penso io”. Un po’ presuntuosa, forse. E il “forse” cadrà dopo che leggerete quanto segue.
    Da molto tempo, con lungo percorso selettivo, ho imparato a considerare degni di empatia solo quei popoli o nazioni che si distinguono in ambito musicale. Ama la musica? Va fra i buoni. Non la ama? Eccolo fra i cattivi. Ma quale popolo, direte, non ama l’armonia, la melodia?  Quale non sa cantare, ballare, suonare? Nessuno!
    E potrebbe essere così, se non esistessero le interferenze ideologiche delle religioni. Numerosi sono infatti i paesi che si rendono antipatici perseguendo ferocemente le povere note che senza colpa alcuna fluttuano per l’aria. In primis i paesi islamici, odiatori delle arti in genere (fra loro niente scultura o pittura, se non strettamente decorative, niente teatro, recitazione, prosa, niente balletti). Quanto alla musica, sia vocale o strumentale, su di lei pende un giudizio di illiceità coranica che la  bandisce come frivola, corruttrice, veicolo di peccato.
    Già ottocento anni prima a sminuirla ci aveva provato Platone, facendo però marcia indietro e concedendole un sano spazio educativo. Ma i paesi islamici, no, questo spazio non glielo concessero mai; per cui in millequattrocento anni, soprattutto in area araba, puoi cercare fin che vuoi ma non troverai mai un effettivo contributo musicale. Inventarono, è vero, alcuni strumenti, che noi poi perfezionammo, come il liuto o la viella; ma musica zero, ritenendosi qui “musica” non i casuali exploit popolareschi o folk, ma l’evoluzione di tipo tecnico, culturale e professionale. Conoscete qualche brano sinfonico che ci sia arrivato da lì? Sapete forse di un Mozart arabo? Vi risulta fra loro un Guido d’Arezzo che abbia inventato la scrittura musicale?
    In zona musulmana, comunque, si possono qua e là trovare esempi in cui la Derelitta è stata (pur a fatica) salvaguardata e persino resa degna di studio. Mi viene in mente l’Iran, dove la buia e feroce tirannia dei barbuti ayatollah non ha impedito l’esistenza di geni musicali autoctoni (un esempio fra tutti il pianista Ramin Bahrami, “mago del suono” di grandezza mondiale); e la Turchia, che pur stretta nell’abbraccio dittatoriale di un Erdoğan, dai suoi Conservatori di Istanbul ed Ankara continua a sfornare ottimi allievi. Sono usciti di lì un soprano di fama mondiale come Leyla Gencer ed un pianista-compositore come Fazil Say. Quando apro la  radio e sento che trasmettono qualcosa di Say, sia come autore che come esecutore, mi si allarga il cuore e mi metto a cantare!
    Nell’intero Medio Oriente, squallidamente amusicale, solo Israele svetta con un’Orchestra Filarmonica fra le prime del pianeta e con un gran subisso di interpreti-esecutori-compositori. Se volessimo occuparci della componente ebraica nella musica, non la finiremmo più di citare nomi di alto livello. Magari un giorno farò una ricerca sui compositori ebrei e vi sorprenderò al punto da lasciarvi senza fiato. Peraltro in quell’infelice angolo di terra, grazie alla perseveranza di Daniel Barenboim, esiste anche un’orchestra israelo-palestinese, che, oltre ad avere introdotto la parola “pace” fra i suoi membri, ha fortunosamente strappato molti palestinesi al loro destino di amusicalità. Opportunamente istruiti, essi hanno mostrato un amore per i suoni e una capacità esecutiva non inferiore a nessun altro popolo. A comprova del fatto che fu ed è il fanatismo religioso a comprimere e distruggere i talenti musicali in quelle popolazioni.
    Discorso a parte per la Cina. Ai suoi tempi Mao scatenò una furiosa campagna contro la “musica occidentale” (come se, in campo colto, vi fosse un’altra musica oltre a quella occidentale!) vietandola e imbavagliandola coll’aiuto della moglie, Jiang Qing, la beethovenicida. Ma negli ultimi decenni il grande allargamento culturale, se non ha allargato nulla nel regime, ha però fatto sì che torme di solisti siano usciti da quei conservatori che la moglie di Mao voleva impallinare. Nomi come Lang Lang  e Yuja Wang danno l‘idea del punto di eccellenza musicale a cui è giunta la grande nazione asiatica. Lo stesso può dirsi dell’India, che ha prodotto un direttore di immensa sensibilità come Zubin Mehta, o della Corea del Sud, terra di grandi pianisti e di un direttore eccelso come  Myung-Whun Chung. Per non dire del Giappone. A partire dalla metà dell’800, questa straordinaria nazione rimasta chiusa a ogni influsso esterno per oltre trecento anni, aprendosi alla musica ha conosciuto un entusiasmo, una spinta, un avanzamento anche civile e morale, che ha del miracoloso.
    La musica è libertà, ma attecchisce persino nelle dittature. Non posso perciò evitarmi di citare la gigantesca nazione che va dall’altopiano sarmatico allo stretto di Bering oggi governata da un individuo come Vladimir Putin. Come si fa a dimenticarne i meriti grandiosi in campo musicale? Ero riuscita a digerirla persino ai tempi di Breznev, quindi posso farlo anche oggi. Il mondo è bello perché suona!

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    Luisa Forlano
    Luisa Forlano
    Luisa Camilla Forlano è nata a Boscomarengo, in provincia di Alessandria, e vive a Torino. Oltre all’amore per la Musica coltiva assiduamente quello per la Storia, in particolare per l’antichità classica, ma anche per i secoli a noi più vicini, quelli della rinascita della ragione. Ed è stato nel desiderio di far rivivere alcuni momenti storici cruciali che si è affacciata al mondo della narrativa: nel 2007 col suo primo romanzo “Un punto fra due eternità”, un inquietante amore ai tempi del Re Sole; e poi con “Come spie degli dèi” (2010), che conserva un aggancio ideale col precedente in quanto mette in scena le vicende dei lontani discendenti del protagonista del primo romanzo. In entrambe le narrazioni la scrupolosa ricostruzione storica costituisce il fil rouge da cui si dipanano appassionanti vicende umane, fra loro differenti, ma fortemente radicate nella realtà storica del momento.

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