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domenica, Maggio 19, 2024

    La gioia di ritrovare Gianni Milano

    Il poeta e pedagogista torinese realizzò qui alcune esperienze educative innovative

    Sabato 16 marzo, La Società Operaia di Ciriè ha organizzato una serata dedicata a Gianni Milano. Nato in provincia di Asti nel 1938, è stato, nel corso degli Anni Sessanta, uno dei principali poeti ed esponenti della letteratura e della cultura beat in Italia, uno che frequentava, per capirci, personaggi del calibro di Fernanda Pivano e Allen Ginzberg e artisti come Michelangelo Pistoletto. Ma in questa sede non voglio parlare del Gianni poeta beat, bensì della sua importanza come educatore e pedagogista realmente e profondamente controcorrente. Fautore di una pedagogia di impostazione libertaria, è autore di diversi saggi pubblicati su riviste pedagogiche, ha lavorato per quarant’anni come insegnante con bambini e adolescenti, conducendo, all’interno dell’istituzione scolastica, esperienze alternative e anticonformiste, in linea con l’impostazione educativa del pedagogista francese Célestin Freinet. È stato inoltre tra i fondatori del MCE, Movimento di Cooperazione Educativa, che ebbe un ruolo centrale nel rinnovamento della scuola italiana.

    Conobbi Gianni Milano alla fine del 1999. L’avevo cercato perché volevo saperne di più su una sua esperienza di educazione “on the road” alla fine degli Anni Settanta con una classe di bambini della scuola elementare “Bruno Ciari” di Ciriè, fondata sull’uso quotidiano della bicicletta come strumento per esplorare il territorio e trarne elementi di studio e di approfondimento scolastico. I suoi bambini avevano le biciclette pronte nel cortile della scuola, e quando non c’era un motivo più che valido per restare in classe, montavano in sella e partivano – tribù allegra e scampanellante – per correre a esplorare le giungle che costeggiano la Stura. A cercare gnomi ed elfi. A piantare alberi e a erigere totem. Così lui stesso racconta: “Un maestro in bicicletta non era spettacolo usuale a quei tempi. e la bicicletta non rientrava nelle norme del galateo; ma a me dava grande felicità, era un mezzo di trasporto  buddhistico, non violento, non inquinante, non rumoroso. Ero vicino alle cose che osservavo. Potevo salutare le persone che incontravo. Ricordavo a me stesso, e alla terra, il dovere gioioso di vivere in pace, senza padroni, leggero come un piccolo uomo, in bicicletta, verso bambine e bambini in attesa di una qualche nuova sorpresa. Fu per questa felicità del pedalare che fondai la mia attività educativa sulle due ruote. E partendo da questo presupposto ho ritenuto bene incentrare l’energia dei bambini su pedali avventurosi che permettessero loro di accogliere il mondo nella sua stupefacente varietà, senza esotismi, con sguardi attenti e minimalisti, con una intelligenza “muscolare”, diretta e pronta. L’aula ed il raccoglimento scolastico hanno un senso solo se servono per organizzare emozioni e conoscenze, per codificarle e comunicarle, per sviluppare ipotesi e fantasie. La strada, come ci insegna Kim, è democratica, varia, e conduce sempre in un qualche posto, meraviglioso, perché testimonia che siamo vivi e la vita è un valore che i bambini sperimentano poco a scuola. Là si “impara a vivere”. Il movimento crea disturbo, inquieta le maestre, è contrario a tutto ciò che si immagina sia un ordinato apprendere. Non c’è posto, a scuola, per le biciclette.

    Così, dopo i primi quindici giorni d’ottobre, tutti i bambini, di riffa o di raffa, venivano a scuola in bici. Eravamo la sola classe, sul posto, e anche altrove, che facesse una cosa del genere! Convinti che il territorio fosse ben più ricco dell’aula e delle didattiche, poveri come bambini proletari, immigrati e stranieri nell’istituzione, attendevamo lo squillo del desiderio per partire.

    I genitori non ostacolarono il progetto. Capirono che in questo modo venivano sfruttate le energie e le abitudini dei loro figli in strada, trasformando le loro scorribande in apprendimento. E dopo non molto iniziarono a collaborare. Ci insegnarono a realizzare sacche in tela per metterci dentro gli attrezzi del pronto soccorso per le bici, vennero in aula a darci dimostrazione pratica di come si aggiusta una gomma forata, non fecero mai mancare una due ruote ai loro figli. E di questo li ringrazio.”

    Le conoscenze apprese durante queste escursioni venivano poi rielaborate in classe e confluirono in una serie di grandi pannelli dipinti, visibili ancora oggi nei corridoi della scuola.

    L’intervista venne pubblicata sulle pagine web dell’Espresso e in seguito divenne l’ebook “Tutti in bici fino all’Isola delle Anguille”.

    Pochi mesi dopo ebbi modo di conoscere direttamente la sua “pedagogia tribale” quando Gianni, ormai pensionato, si propose per effettuare sulla mia classe un progetto di pittodramma dal titolo “Alla ricerca dell’Antenato Perduto”.

    Fu un periodo di collaborazione molto intenso.  Finito l’anno scolastico io e Gianni stavamo lavorando a “Capitan Nuvola”, il nostro primo libro a quattro mani. Un testo nel quale volevamo riproporre nel nuovo millennio appena cominciato i fondamenti della “pedagogia tribale”. Una notte d’agosto, mentre rincasavo, trovai nella buca alcune pagine ingiallite di un vecchio dattiloscritto dal titolo “Infanzia in un villaggio indiano”, con alcune righe scritte a mano da Gianni che mi spiegava che quel testo aveva girato negli Anni Settanta fra alcuni insegnanti “progressisti”.

    Lessi il testo d’un fiato, come quel testo riesce a farsi leggere. E mi piacque subito. L’autore, un nativo canadese della nazione Odawa che si firmava Wilfred Pelletier, parlava della sua infanzia trascorsa su un’isola di nome Manitoulin, all’interno del lago Huron. Un documento che offriva una lettura interessante e insolita dell’impatto fra mondo indiano e mondo dei bianchi. Ma molte altre cose mi colpirono. L’immagine di una comunità orizzontale, che riesce a organizzarsi meravigliosamente senza bisogno di un vero capo, ma soltanto di capoccia temporanei. Come un branco di pesci, che, all’improvviso, si muovono tutti insieme. Una comunità dove nessuno insegna, ma tutti si apprende, non attraverso nozioni, ma grazie all’esperienza diretta delle cose. Tutto ciò era straordinariamente in sintonia con quanto, proprio in quegli stessi mesi, io e Gianni stavamo sperimentando con i bambini e formalizzando nel nostro libro.

    Il giorno seguente mi misi alla ricerca di quest’uomo di nome Wilfred Pelletier. Dopo alcuni Pelletier che non c’entravano con quello che m’interessava, mi s’aprì una pagina del notiziario della Carleton University di Ottawa, con la data del 14 agosto 2000. La prima cosa che notai fu la fotografia. Neppure per un istante ebbi dubbi sull’identità. Non poteva che essere lui: Wilfred Pelletier. Giacca indiana, cappello da cow boy, una risata larga, sincera, esagerata, contagiosa. Solo più tardi lessi le poche righe dell’articolo e fu una mazzata. Era un necrologio. Stentai a crederci: Wilfred Pelletier era morto da pochi giorni, il 20 luglio per l’esattezza. Il mio materialismo e il mio cinismo vacillarono. Del resto è difficile, anche da una roccaforte razionalista, pensare che certe cose accadano per caso: Pelletier resta ibernato per venticinque anni in un cassetto e non appena cominci ad interessarti a lui scopri che è appena trapassato. Quel dattiloscritto fu la base del nostro secondo libro e ci dette modo di conoscere Hedra Marlene Pink, una studentessa di Pelletier che, oltre ad inviarci subito una fotografia del luogo di sepoltura di Wilfred, collaborò anche per farci meglio conoscere la filosofia educativa ed esistenziale di Pelletier.

    Negli anni seguenti io e Gianni finimmo per perderci di vista. Ma quanto avevo appreso da lui lasciò un segno profondo nel mio lavoro di insegnante. Seppure certe esperienze, come quella della classe in bicicletta, siano difficilmente riproponibili nella nostra società iperburocratizzata, l’idea che l’apprendimento, quello autentico, debba necessariamente passare attraverso l’esperienza “avventurosa” è rimasto un punto fermo nella mia concezione dell’educazione.

    RISORSE TRIBALI GRATUITE (per l’edizione web)

    Chi desiderasse approfondire alcuni degli argomenti trattati in questo articolo, può fare riferimento a questi ebook gratuiti presenti su Internet Archive.

    Luigi Bairo, Gianni Milano, Tutti in bici fino all’Isola delle Anguille

    Luigi Bairo, Gianni Milano, Hedra Marlene Pink, La strada per Baybomseh.

    Luigi Bairo, Gianni Milano, Alla ricerca dell’antenato perduto , progetto di un’attività didattica di pedagogia tribale

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    Luigi Bairo
    Luigi Bairo
    Autore, giornalista e musicista. Ha pubblicato libri dedicati alla “cultura della bicicletta”, resoconti di viaggio, testi di argomento pedagogico, di narrativa per ragazzi e di storia locale. Ha scritto di musica per il settimanale Il Risveglio ed è autore per la rivista Canavèis.

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