Questo mese il nostro notaio evidenzia delle ordinanze della Suprema Corte di Cassazione relative alla capacità di intendere e di volere, in materia di contratti stipulati, in tema di trasferimenti di immobili abusivi.
Cassazione, ordinanza 22 ottobre 2019, n. 26873, sez. II civile
In materia di redazione di testamento, la decisione in merito alla capacità di intendere e volere del testatore, può essere presa dal giudice anche in base ad una semplice presunzione: in caso di soggetto, ad esempio, affetto da una condizione di stabile demenza nel periodo in cui è stato redatto il testamento, ben può l’autorità giudiziaria presumere che il testatore fosse affetto da incapacità di intendere e di volere. Ciò, tuttavia, non impedisce di provare che, al momento della redazione del testamento, il defunto fosse in un intervallo di lucidità; va da sé che l’onere della prova si considera invertito e, pertanto, toccherà a chi vuole far riconoscere la validità del testamento, di provare che il testatore al momento della redazione fosse capace di intendere e volere.
Cassazione, ordinanza 19 novembre 2019, n. 29959, sez. VI- 3 civile
Con questa ordinanza la Corte di Cassazione cambia il proprio orientamento in materia di contratto stipulato dal rappresentante con sé stesso. Ai sensi dell’articolo 1395 del codice civile, infatti, per evitare il conflitto di interessi devono sussistere, in via alternativa, le seguenti circostanze: il rappresentante è autorizzato espressamente a contrarre con se stesso, oppure devono essere previsti, nella procura, gli elementi essenziali del contratto cui il rappresentante deve attenersi. In precedenza, la Corte di Cassazione aveva deciso, ed interpretato l’articolo 1395 sopra citato, nel senso che al fine di evitare il conflitto di interessi, gli elementi sopra descritti dovessero ricorrere entrambi; con questa ordinanza, invece, la Corte di Cassazione interpreta letteralmente la norma di legge, affermando l’alternanza degli elementi medesimi.
Cassazione, sentenza 10 dicembre 2019, n. 32225, sez. III civile
Con questa ulteriore sentenza, la Corte di Cassazione affronta l’argomento del trasferimento dell’immobile abusivo a seguito di sentenza di esecuzione in forma specifica: queste sentenze vi sono ogni qualvolta non viene rispettato un obbligo di concludere un contratto, come ad esempio in materia di contratti preliminari (compromessi). La legge, infatti, permette al contraente in buona fede ed adempiente, di chiedere al giudice una sentenza che sostituisca gli effetti del contratto definitivo che le parti avrebbero dovuto concludere. La Corte, trovatasi a decidere in materia di contratto preliminare di compravendita immobiliare, ha stabilito che tale tipo di sentenza non può essere emesso se l’immobile è completamente abusivo, ossia realizzato senza licenza, oppure se – pur licenziato – sia totalmente difforme dal permesso di costruire. La stessa Corte, al contrario, ammette che possa esservi sentenza di trasferimento quando si è in ambito di difformità parziale, così seguendo il filone interpretativo apertosi a marzo 2019.
Cassazione, ordinanza 5 marzo 2020, n. 6212, sez. V civile
Imposta di registro – Agevolazione “prima casa” – Residenza – Sede lavorativa.
Per l’applicazione dell’agevolazione “prima casa”, tra i vari requisiti soggettivi che devono ricorrere, vi è quello dell’acquisizione della residenza nel Comune; il contribuente che compera la casa, in alternativa, può valersi del requisito della sede lavorativa. La Corte di Cassazione, tuttavia, precisa che la scelta da parte dell’acquirente in merito all’utilizzo di un requisito, ovvero di un altro, deve essere dichiarata all’atto della stipula della compravendita così da consentire all’amministrazione di effettuare i prescritti controlli. Non si può, in altri termini, dichiarare in atto che o ci si trasferisce di residenza o si applica la regola del Comune quale sede dell’attività lavorativa.
Cassazione, ordinanza 17 febbraio 2020, n. 3852, sez. II civile
Condominio – parti comuni dell’edificio
L’individuazione delle parti comuni ex art. 1117 c.c. puó essere superata soltanto da quanto risulta dal titolo che ha dato origine al condominio. La Corte conferma, difatti, che la comproprietà delle parti comuni dell’edificio, indicate nell’art. 1117 c.c. sorge nel momento in cui più soggetti divengono proprietari esclusivi delle varie unità immobiliari che costituiscono l’edificio; a mano a mano che i singoli atti di acquisto vengono trascritti, la situazione condominiale è opponibile ai terzi.